“Abbiamo letto con stupore le parole di Monsignor Camisasca sull’interruzione volontaria di gravidanza. Perché stupore? Semplicemente perché è il 2020, e siamo a Reggio Emilia.” Lo dichiarano Nadia Monti e Alex Isabelle, del Comitato “Marielle Franco” di Possibile Reggio Emilia. “Troviamo gravissimo che il Vescovo abbia definito “mamma” la donna che si indirizza all’aborto, e riteniamo assurdo dovere ancora giustificare l’importanza della accessibilità totale all’interruzione di gravidanza: una donna può volerlo fare per mille ragioni e deve avere il diritto di farlo senza che le vengano fatte troppe domande.
“Se il Vescovo è preoccupato dalla demografia – aggiungono gli esponenti del partito fondato da Giuseppe Civati e guidato da Beatrice Brignone – il nostro consiglio è di preoccuparsi di tutto ciò che succede tra l’inizio e la fine di una vita, di quelle condizioni materiali che impediscono a tante persone che vorrebbero diventare genitori di accedere a un welfare che glielo consenta. Abortire non è necessariamente un trauma: lo diventa se si continua a instillare nelle donne quel senso di colpa che ci portiamo dietro da troppo tempo. E, se è un’esperienza difficile, l’importante è che ci siano professionisti e familiari ad aiutare, tanto in day hospital quanto in ricovero.
Leggere giudizi e ipocrisie di questo tipo a pochi giorni da una conquista (peraltro parziale) ci inorridisce, e – in uno Stato Laico, su un argomento che riguarda le donne – il silenzio è l’unica cosa che vorremmo sentire sull’argomento dagli uomini di chiesa.”
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