Quando c’erano i comunisti

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Oggi parliamo dell’anniversario di un partito, che per oltre quarant’anni ha segnato la storia politica, sociale e culturale dell’Italia repubblicana. Ne parliamo recensendo non un libro scritto da storici, ma da due giornalisti: Mario Pendinelli, ex direttore del “Messaggero”, e Marcello Sorgi, editorialista politico della “Stampa”. Apprezzo i libri divulgativi che affrontano seriamente temi storici, è il caso di questo volume in cui si discute del centenario del Partito comunista d’Italia che si celebra il 21 gennaio 2021. Ufficialmente scomparso con il suo XX Congresso svoltosi a Rimini dal 31 gennaio al 3 febbraio 1991, la storia del PCI, in realtà, continua anche oggi ad essere per la politica della sinistra una sorta di fantasma.

I due autori, infatti, nel ripercorrere la “genesi” del PCI stigmatizzano, non tanto il modo in cui fu annunciato il cambiamento del nome, ma la frettolosità con cui venne liquidata la sua storia. Il crollo del muro di Berlino (9 novembre 1989) e la dissoluzione dell’Urss, sopraggiunta nel dicembre 1991, dopo che gli Stati del socialismo reale, in rapida successione, erano collassati, spinsero gli ex comunisti ad accelerare il desiderio di voltare pagina e di prendere le distanze dal loro passato. Il trionfo del capitalismo sul socialismo reale porterà di lì a breve con la vittoria di Bill Clinton (1993) e di Tony Blair (1997), gli eredi del PCI a condividere «l’innamoramento» del nuovo primo ministro britannico verso il nuovo capitalismo finanziario convinto che «diventerà, insieme ai prodigi dell’economia digitale, l’alleato naturale dei partiti democratici di centrosinistra nella loro missione di modernizzare le vecchie società industriali».

Clinton e Blair, scrivono Pendinelli e Sorgi, erano «seriamente convinti di avere in tasca le terapie giuste per curare le malattie del mondo», la «nebulosa terza via». Ma il capitalismo finanziario ha provocato guai seri all’economia reale come la grande crisi del 2008, sottolineano gli autori, innescata dalla riforma Clinton sulla banche che aveva abolito la distinzione fra banche d’affari e banche di deposito, eredità del New Deal (1933-37) sveltiscano, avviato dopo la grande depressione seguita al crack borsistico di Wall Street del 1929. Temi sui quali i due giornalisti intervistano Massimo D’Alema, Cesare Salvi, Nicola Zingaretti.

Ora torniamo al 21 gennaio 1921, a Livorno al teatro San Marco, il giorno del “parto col forcipe” del PCdI, sezione della Terza Internazionale nata nel marzo 1919 – sulle ceneri della Seconda colpevole di aver votato i crediti di guerra (unica eccezione dei partiti aderenti il Partito socialista italiano) – su impulso di Lenin dopo la vittoriosa Rivoluzione russa dell’ottobre 1917.

C’era aria di rivoluzione in tutta Europa e anche l’Italia era nel burrascoso vortice del dopoguerra. Per abbattere lo Stato borghese era necessario un vero partito rivoluzionario e non le chiacchiere massimaliste del vecchio PSI: questi erano i pensieri di Amedeo Bordiga e del gruppo dell’Ordine Nuovo di Torino capeggiati da Antonio Gramsci che li spinsero alla scissione accettando le 21 condizioni poste dai comunisti russi per aderire alla Terza Internazionale.

Nonostante qualche lieve imprecisione, a partire da quel freddo e piovoso gennaio livornese di cent’anni fa, i due autori offrono ai lettori il giusto equilibrio fra cronaca politica (a cui abbiamo accenato) e ricostruzione storica: dalla segreteria di Bordiga a quella di Gramsci con il contemporaneo trionfo del fascismo e la fine delle libertà democratiche e delle speranze rivoluzionarie; dai contrasti con Mosca all’arresto di Gramsci, dall’ascesa di Togliatti alla segreteria del partito comunista italiano alla vittoria di Stalin in URSS dopo la morte di Lenin. E poi i terribili anni dell’espatrio e, per chi rimaneva in Italia, della clandestinità, dell’arresto, del confino. E in sovrammercato le sanguinose “purghe” staliniane degli anni Trenta che colpirono anche i comunisti italiani ma non Togliatti, che riuscì a salvare i “Quaderni del carcere”, che gli erano arrivati dall’Italia grazie a Tania Schucht, cognata di Antonio Gramsci, all’economista Piero Sraffa e al banchiere Raffaele Mattioli. E partendo da quei preziosi manoscritti, con la Resistenza e la fine della seconda guerra mondiale, la politica del PCI allenta progressivamente, ma non linearmente (si pensi ai fatti di Ungheria del 1956), il “debito di sangue” con l’URSS per arrivare allo strappo definitivo di Enrico Berlinguer, segretario del PCI, che nel giugno del 1976 dichiarava, a Giampaolo Pansa, di sentirsi più sicuro sotto l’ombrello della Nato piuttosto che sotto quello dell’URSS.
In questa narrazione trova spazio anche Massimo Camisasca, vescovo di Reggio Emilia, che ha rivelato al “Corriere della Sera”, in occasione dell’anniversario dei Patti lateranensi l’11 febbraio 2020, l’incontro di Togliatti con papa Pio XII il 29 gennaio 1945, incontro propedeutico al futuro rapporto coi cattolici che culminò con la votazione dell’articolo 7 della Costituzione, che recepiva totalmente il concordato firmato con lo Stato fascista nel febbraio 1929.

Tantissimi altri fatti e considerazioni ci sono nel volume, ma mi congedo sottolineando le interessanti valutazioni sulla politica di Berlinguer (il fantasma a cui accennavo sopra): dal Compromesso storico all’Alternativa democratica allo scontro con il PSI di Bettino Craxi.
Sigilla il volume una lunga intervista (del 1981) a Umberto Terracini, uno dei fondatori del PCI, perseguitato politico, presidente dell’Assemblea Costituente, dal titolo “Il sogno di cambiare l’Italia.

(Mario Pendinelli, Marcello Sorgi, Quando c’erano i comunisti. I cent’anni del Pci tra cronaca e storia. Con una testimonianza di Umberto Terracini, Marsilio, Venezia 2020, pp. 240 18,00 euro; e. book 9,99
recensione di Glauco Bertani).

Si ringrazia la Libreria del Teatro, via Crispi 6, Reggio Emilia

I nostri voti


Stile narrativo
7
Tematica
8
Potenzialità di mercato
7