Centro: servono imprenditori, non lamenti

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Sul dibattito sulla situazione del commercio a Reggio Emilia riportiamo una riflessione di Maurizio Frignani pubblicata sul blog “Il pensiero democratico”.

di Maurizio Frignani

Tra poco riaprirà il nuovo Mercato Coperto, finalmente riportato alla sua vocazione storica di luogo d’incontro e di vita incentrato soprattutto sull’offerta di ristorazione. Dopo l’esperimento fallito di dieci anni fa (a causa, va detto, dell’insensatezza del progetto commerciale) ora c’è l’occasione di riportare gente nel cuore della città e, tra l’altro, di riaprire un utile corridoio pedonale tra la via Emilia e via San Domenico. Il momento è propizio perché assistiamo in questi giorni all’ennesima pioggia di articoli sulla desertificazione del centro storico. L’occasione è stata la ricerca del Politecnico di Milano, che ha quantificato puntualmente una situazione che è sotto gli occhi di tutti da tempo. A tal proposito ricordiamo la nostra indagine dell’anno scorso sullo stesso tema che trovate su questo stesso blog, indagine che più o meno dava lo stesso risultato. Il fenomeno è nazionale ed evidente soprattutto nelle tante città italiane (al nord per lo meno quasi tutte) che mantengono intatto un centro storico di origine comunale, fatto di tanti portici, piazze e un’infinità di “botteghe”. Nel corso dei decenni l’espansione urbana, le limitazioni al traffico, le riqualificazioni e il risanamento di alcune zone, il trasferimento di attività e uffici, hanno cambiato molto il panorama, ma non tanto da renderlo irriconoscibile. I centri storici italiani rimangono inconfondibili. Peccato che quando si comincia discuterne il futuro, finalmente anche sulla base di dati oggettivi, prevalga quasi totalmente una cultura del lamento, della nostalgia (spesso di un passato immaginario) e una più prosaica polemica politica di bassa qualità.

 

Alcuni punti fermi.

1) Il commercio di una volta.

Per molte attività la collocazione fisica vantaggiosa (vicino ai luoghi di passaggio o a quelli più frequentati era, ai fini del reddito, forse più importante, ed è triste dirlo, della qualità del servizio reso). Si trattava di un vera e propria rendita di posizione (nel vero senso della parola). Per alcuni settori, come i bar (ma vale anche per altri) questa era la sola chiave, e il vero guadagno si realizzava dopo qualche anno con la cessione futura dell’attività incassando il valore del cosiddetto avviamento. Funziona ancora così nei settori protetti e corporativi come balneari, taxi (per lo meno in molte città) ecc. Tutto funzionava se la città (e il mondo) rimaneva immobile. Ma questo non era possibile e non è mai stato possibile e, permettete, fortunatamente. L’aumento degli abitanti, la priorità della salute e dell’ambiente, il numero spropositato di auto che circolano e parcheggiano in strade larghe ora come nel medioevo, hanno cambiato le cose. Si può quindi capire come spesso fosse vissuta come una questione di vita o di morte ogni battaglia contro qualsiasi zona pedonale. E si può anche comprendere perché fino a non moltissimi anni fa l’assessorato più importante (dopo quello all’urbanistica) era, soprattutto nei comuni medio-piccoli quello alle attività produttive. Cioè quello che, in base a licenze e tabelle varie, in assenza di piani commerciali e con le liberalizzazioni ancora aldilà da venire, aveva il potere reale di far aprire o no un negozio.

Piantiamola poi con la schizofrenia a stagioni alterne tipo (in inverno) tra il centro è morto (e quindi pericoloso) e (in estate) il centro è troppo vivo e rumoroso (e quindi pericoloso).Il centro storico di Reggio è oggi enormemente più bello, pulito e riqualificato di quanto non fosse 30 o 40 anni quand’ero ragazzo. Chiunque dica o pensi il contrario o ha problemi di memoria o, e questo lo capisco, nostalgia di quando era giovane. La Via Emilia, e non un vicoletto, si animava il sabato sera esclusivamente tra il prima e il secondo spettacolo dei cinema, che erano tutti più o meno lì e ora sono vuoti e sbarrati (un’enorme risorsa potenziale ancora tutta da esplorare).

 

2) Il commercio di oggi.

A Reggio c’è una terribile carenza di appartamenti in affitto (ne parleremo un’altra volta), anche a causa di una forte domanda. Moltissimi negozi invece sono vuoti e quindi secondo la banale legge economica gli affitti commerciali dovrebbero calare. Se non succede, e non succede, la risposta può essere solo che la proprietà immobiliare per quel che ne so è molto, molto concentrata e se lo può permettere. D’altronde per certi versi è sicuramente meno in crisi il commercio ambulante, che ovviamente non ha questi costi fissi. I centri commerciali stessi (un altro eterno spauracchio) sono in difficoltà da anni, solo alcuni hanno la dimensione corretta (che non è più quella mega) e c’è un ritorno della stessa grande distribuzione verso supermercati di vicinato senza gallerie di negozi. E poi c’è Amazon (e mille altri).

Tutti noi se dobbiamo comprare un televisore andiamo a vederlo in un negozio specializzato e poi controlliamo sul web dove costa meno e magari lo compriamo pure online. E te lo portano a casa spesso il giorno dopo. Cosa c’è di sbagliato in questo ? Tutti noi ormai siamo ben contenti di chiedere certificati online o di prenotare e pagare biglietti sul web. Anche questo, che piaccia o no, è globalizzazione. Il problema non è Amazon in quanto tale, ma solo se agisce in condizioni di monopolio. La risposta non può essere tornare a far pagare ai consumatori l’inefficienza della piccola impresa. Da quando ci sono le parafarmacie i farmaci da banco costano meno, molti farmacisti hanno trovato lavoro e non mi sembra che abbiano chiuso molte farmacie. D’accordo questo è un esempio estremo ma il punto è netto. Sono altri i settori in cui la qualità del servizio è decisiva (salute, assistenza, istruzione, manutenzioni, ecc.).

 

3) Il commercio del futuro

Ma la domanda quindi è: che negozi dovrebbero aprire ?

La risposta è che di molti negozi ora semplicemente non c’è più bisogno. C’è spazio per nicchie specifiche di qualità, anche nel settore alimentare, ma i numeri assoluti non possono essere che bassi (una chicca imprevedibile: abbiamo il record di negozi di libri usati!). E’ inutile vagheggiare un futuro che rievoca un passato immaginario, o un passato recente fatto di un’infinità di negozi di abbigliamento monomarca. E’ inutile spendere soldi per sostenere imprese inefficienti, che non riescono a stare in piedi da sole, e non perché ci sia in atto un oscuro complotto, ma semplicemente perché non hanno la dimensione necessaria, le risorse umane necessarie, l’innovazione necessaria. E qui sta il punto vero. C’è bisogno di incentivare l’innovazione, nel commercio come nei servizi alla persona. C’è bisogno di più imprenditori e (nessuno si offenda) di meno bottegai. Aziende più grandi, o almeno un po’ più grandi, che magari si uniscano e offrano di più e meglio, così da lavorare meglio e far lavorare meglio i propri dipendenti, senza cedere alla tentazione di evadere per sopravvivere. Ma questo dovrebbe essere a livello nazionale il compito di un governo avveduto. Non far sopravvivere male quelli che comunque non ce la fanno, ma tutelare e aiutare quelli che sul serio rischiano tramite innovazione tecnologica e creatività. Per quel che riguarda Reggio, nei limiti della potestà comunale, incentiverei al massimo le attività artigianali e di servizio alla persona, nonché tutto il mondo del turismo e dell’accoglienza, storicamente insufficiente per quantità. E chiamerei le categorie al confronto su cosa si può fare, non su cosa si deve impedire.

Le foto in bianco e nero sono tratte dalla pagina Facebook Reggioemiliani del fotografo Giuliano Ferrari