Non siamo nemmeno polvere

epicuro

Quando siamo al cospetto della morte, quando siamo al cospetto di qualcosa che finisce percepiamo il vuoto che ciò arreca, un vuoto che c’è sempre stato, come dice la Bibbia nella Genesi: “Ricordati, uomo, che polvere sei e in polvere ritornerai”.

L’accumulo di beni materiali non ci salverà nel compensare quel vuoto… Quel vuoto ci accompagna fin dalla nascita, solo che tendiamo a dimenticarcene e inventiamo un sacco di strategie per dissuaderci dal vederlo.
Giungono appuntamenti in cui il vuoto presenta il conto e mostra la mercanzia di cose e relazioni superficiali che abbiamo accumulato per allontanare l’orrore e tutt’ad un tratto ci sentiamo lavati, essenziali, vediamo l’esistenza senza orpelli.

Epicuro ci ricorda che quando la morte c’è noi non ci siamo, quindi non ci deve preoccupare il suo pensiero.
Heidegger ci invita ad essere per la morte, il che significa una via di autenticità, uno svestirci del non necessario, del superfluo, corrispondere alla morte in tale modalità senza cortine fumogene di emozioni afflittive è la via verso l’essenzialità e l’autenticità nei confronti di noi stessi e di chi ci sta accanto.

Riuscire a svestirci in tale modo è ciò che fece Francesco d’Assisi quando si cosparse di cenere la testa.

Il Covid ci sta portando per mano ad un’autenticità nei nostri confronti e di chi ci sta vicino.

Cosa significa essere autentici? Significa operare da sé. È possibile operare da sé, senza metterci in relazione con gli altri?

Se non ci sono gli opposti non ci può essere una definizione, un limite. Nel momento in cui ci accorgiamo che gli opposti convivono dentro di noi possiamo essere autentici.

È come l’inverno che porta dentro sé tutte le stagioni a venire, come il buio custodisce il primo apparire della luce, il femminile racchiude il maschile, lo spazio viene definito da un punto…

I dipinti di Kandinsky ne sono un’ottima rappresentazione… Siamo soli ma anche accompagnati.

La morte è Maestra nel insegnarci a svestirci del superfluo e ciò fa paura: chi sarebbe in grado di fare un’azione del genere?

Chi sarebbe in grado di denudarsi nella piazza del mercato senza poi passare per folle?

Chi sarebbe disposto a svestirsi dalle emozioni e dall’ansia che spesso ci proteggono dall’essere apparentemente polvere?

Ciò che cambia è il modo in cui moriamo, questa è la nostra ultima poesia, il nostro messaggio alle generazioni successive.

Se cambia il modo di morire, cambia il modo di vivere, la morte che apparentemente è l’ultimo attimo in realtà è figlia di morti precedenti e di come abbiamo vissuto.

Possiamo vedere gli accadimenti del quotidiano come accidenti che turbano il “Nostro essere” oppure diversamente come inviti a guardarci dentro.

Se iniziamo giorno per giorno a guardare ciò che ci accade in modo costruttivo rispetto a ciò che siamo, la nostra vita sarà diversa e la morte non sarà l’ultimo attimo, potrà essere addirittura amica.

Il rifuggire le avversità del quotidiano, che mettono in luce i nostri attaccamenti ci fanno vivere come proprie parti di noi che se ne stanno andando e da lì nasce la sofferenza.

Non siamo nemmeno polvere, siamo come viviamo la polvere come ci relazioniamo ad essa, anch’essa un giorno dovremo lasciarla.

La natura conosce molto bene il lasciare andare, il trasformarsi, la natura non afferra, non si attacca.
Apparentemente il ragionamento proposto potrebbe sembrare un invito a tralasciare il pensiero, tutt’altro, ciò che propongo è un invito a contemplare la capacità del pensiero umano all’afferrare ed al lasciare andare; nel momento in cui riusciamo a porci ad osservare questo meccanismo che accade in modo meccanico nelle nostre vite sorge spontanea la domanda: “Di chi sono questi pensieri?” “Chi formula i pensieri?”.

Come afferma Einstein, un problema non lo possiamo risolvere nello stesso modo in cui lo abbiamo creato.
La soluzione è pratica, la matassa si può sgrovigliare attraverso la pratica della meditazione.