Emilia, giù il manifatturiero (-6,7%)

settore manifatturiero

Dopo la flessione di quasi il 20% registrata nel secondo trimestre dell’anno, tra luglio e settembre il calo della produzione manifatturiera in Emilia-Romagna si è fermato al -6,7% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente: ancora un dato di segno negativo, quindi, anche se di minor intensità, a conferma che nel terzo trimestre del 2020 l’industria emiliano-romagnola aveva effettivamente avviato un percorso positivo che l’avrebbe riportata a riavvicinarsi progressivamente alla situazione pre-Covid.

Il duro impatto della seconda ondata della pandemia e le misure varate per contenere l’emergenza sanitaria, tuttavia, hanno rallentato anche lo slancio della ripresa. Continua, dunque, l’incertezza sui tempi di recupero dei livelli produttivi e la preoccupazione sulla tenuta di alcuni settori.

L’analisi dei dati raccolti dall’indagine congiunturale realizzata in collaborazione tra Unioncamere Emilia-Romagna, Confindustria Emilia-Romagna e Intesa Sanpaolo ha fornito diverse informazioni utili.

La dinamica settoriale della produzione nel terzo trimestre dell’anno ha evidenziato due estremi: da una parte le industrie alimentari e delle bevande, che hanno fatto registrare una variazione della produzione di poco negativa (-1,1%), una flessione che testimonia come il comparto sia tra quelli meno colpiti dalla pandemia; dall’altra, invece, l’industria del tessile, dell’abbigliamento e delle calzature, in calo del 15,8%. In mezzo tutti gli altri settori: per l’industria dei metalli la diminuzione si è attestata al 9,3%, mentre la meccanica ha registrato un -5,7%.

Dal punto di vista delle dimensioni delle imprese, invece, è emerso un differenziale a favore delle aziende più grandi e strutturate: se per quelle con meno di 10 addetti la flessione produttiva ha sfiorato l’11%, per quelle con oltre 50 addetti la curva negativa si è fermata attorno al 4%. Per le imprese artigiane la contrazione è stata del 10,3%.

Prendendo in considerazione tutto il periodo dall’inizio della pandemia a fine settembre, è emerso come un terzo delle imprese abbia fatto registrare un calo del fatturato superiore al 20% rispetto all’anno precedente; un altro terzo di imprese ha evidenziato una contrazione inferiore al 20%. Anche in questo caso con distribuzioni differenti: nel “sistema moda” la quota di imprese con fatturato in flessione ha sfiorato l’80%, mentre nell’alimentare i cali del fatturato hanno interessato il 50% delle aziende del comparto.

Tornando al solo terzo trimestre del 2020, il fatturato estero delle imprese è diminuito del 4,2% rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente; se gli ordini totali sono calati del 5,2%, quelli esteri hanno fatto segnare una variazione negativa del 2,6%. Numeri che sottolineano come la presenza sui mercati esteri abbia aiutato a contenere le perdite.

Anche il grado di utilizzo degli impianti ha risentito inevitabilmente degli effetti del lockdown, passando dal 74,4% del 2019 al 70,9% di quest’anno, con evidenti differenze anche a seconda della dimensione delle imprese (62,8% per le piccole, 73,1% per le più grandi) e del settore (57,6% nel “sistema moda”, 74,8% nell’industria alimentare).

Sul fronte occupazionale, tra luglio e settembre il 9% delle imprese ha ridotto l’organico, con quote più ampie tra le imprese di maggiori dimensioni. Quasi la metà delle aziende ha fatto ricorso alla cassa integrazione, in particolare nell’industria dei metalli e tra le società più strutturate. La dimensione d’impresa è risultata una variabile importante anche nella scelta di ricorrere allo smart working: tra quelle con oltre 50 dipendenti il 62% ha consentito il lavoro agile, quota ferma invece al 12% tra le aziende con meno di 10 addetti. Complessivamente un’impresa manifatturiera su 5 ha attivato forme di smart working.

Per quanto riguarda le previsioni relative alla produzione nell’ultimo trimestre dell’anno, essere risentono già – almeno parzialmente – degli effetti della seconda ondata della pandemia, dal momento che la rilevazione è stata effettuata nel mese di ottobre: il 26% delle aziende ha stimato un calo della produzione, il 50% ha previsto una sostanziale stabilità, il 24% ha ipotizzato un aumento. Se, complessivamente, il saldo tra “ottimisti” e “pessimisti” risulta prossimo allo zero, nel sistema moda e tra le imprese di minori dimensioni il saldo risulta fortemente negativo; al contrario, oltre all’alimentare, il settore meccanico ha mostrato una prevalenza di imprese con previsioni di crescita dei livelli produttivi.

“Le prospettive a breve termine risultano incerte. È una situazione mai vista ed estremamente complessa e, quindi, particolarmente difficile da valutare”, ha ammesso il presidente di Unioncamere Emilia-Romagna Alberto Zambianchi: “Nel terzo trimestre la ripresa delle attività aveva permesso al settore manifatturiero un significativo recupero dei livelli produttivi, ma la seconda ondata ha interrotto il cammino. Continuano quindi a essere necessarie riletture e revisioni costanti, a fronte di uno scenario grave e in continuo mutamento”.

L’impatto del coronavirus sul mondo del lavoro “è stato pesante in termini di riduzione di posti, di orario e, di conseguenza, di perdita e riduzione di reddito. La crisi, che attraversa tutte le tipologie di imprese, si presenta in modo diverso per settori, genere, e in base all’età (in particolare i giovani). Non si tornerà alla situazione economica precedente e la ripresa sarà lenta e differenziata. La sfida principale consiste nell’interpretare correttamente i fenomeni in atto, reagire e adeguarsi, cercando la transizione verso un’economia sempre più digitale ed ecologica. In Emilia-Romagna la centralità del manifatturiero è elemento di forza per mantenere fiducia nonostante la pandemia e i suoi effetti. Il sistema camerale continuerà a fare la sua parte, erogando risorse e servizi di supporto alle imprese, per sostenerle in questa difficilissima fase, e lavorando per dare il proprio contribuito nel costruire piani di rilancio”.

“La situazione critica che stiamo vivendo – ha spiegato il presidente di Confindustria Emilia-Romagna Pietro Ferrari – impone di andare oltre l’analisi di quanto è accaduto finora e guardare in prospettiva nel medio e lungo termine. La crisi in atto è esogena rispetto all’economia: non a caso l’Emilia-Romagna ha reagito meglio delle attese alla fine del lockdown, grazie alla tenuta della manifattura, alla vivacità delle filiere produttive e alla presenza di fondamentali solidi che saranno il nostro punto di forza quando usciremo dalla pandemia”.

Nei prossimi anni, ha aggiunto Ferrari, “vivremo certamente cambiamenti nei comportamenti, nelle abitudini di consumo, nel modo in cui le imprese riorganizzeranno produzione e servizi. Ad esempio l’uso del digitale nella vita privata, nel lavoro e nelle istituzioni resterà, pur se in modo nuovo, e potrà innovare settori strategici come sanità e formazione. Per questo dobbiamo partire dal Next Generation EU, dai fondi strutturali e dal piano nazionale, straordinarie opportunità se sapremo rilanciare la crescita, riformare in profondità le economie nazionali e di conseguenza l’economia europea”.

A livello regionale, invece, “contiamo sul Patto per il lavoro per delineare una visione di medio e lungo periodo in grado di sostenere la crescita, ma capace anche di individuare alcune vere priorità su cui puntare con decisione. Dobbiamo essere capaci di tradurre rapidamente le linee di intervento in investimenti pubblici e privati sulle reti materiali e immateriali, ricerca e innovazione, capitale umano e welfare, sostenibilità ambientale ed energetica. È il momento di prendere decisioni concrete e guardare con pragmatismo alle cose da fare ora”.