È un riflesso condizionato, ma qualsiasi accenno ai paesi arabi, e quindi al deserto, la prima immagine che si alza nel mio orizzonte visivo è la fotografia sgranata della copertina di “Caravanserai”, un disco dei Santana del 1972: contro un sole giallo-arancione, su uno sfondo blu(es?) quasi elettrico, sfila una carovana di uomini e dromedari. Ma l’immagine e le sonorità jazz-rock, fusion di questo disco ci porterebbero completamente fuori strada, perché il nuovo noir di Guarnieri si svolge fra i grattacieli di Abu Dhabi e quelli, distanti 130 chilometri, di Dubai, città teatro del precedente romanzo dell’autore reggiano. Non ci sono né dromedari/cammelli (se non in qualche piatto tipico) né sabbia, ma ci sono mercanti… di morte.
“Abu Dhabi blues” è il terzo romanzo in cui il protagonista è Riccardo Ferri, comparso sulla scena letteraria di Guarnieri sia nel precedente “Ultime fermata: Dubai” sia in “Omicidio alla Rai”, il primo della trilogia.
«L’aeroporto di Abu Dhabi era altrettanto imponente di quello di Dubai. Riccardo Ferri era certo di non sbagliarsi – non per caso era stato commissario ed era ancora un magistrato della Procura romana – chi lo attendeva appoggiato alla ringhiera dell’attesa passeggeri era un poliziotto…».
Siamo ancora negli Emirati Arabi Uniti crocevia, se non terminal, di malaffare “made in Italy” non solo mafioso.
Ferri è a caccia degli assassini della sua compagna la giornalista Antonia Serrano, conosciuta durante le indagini per scoprire l’assassino della ragazza uccisa nelle sede Rai (il primo romanzo della serie). Ed è un fiume di sangue che lega i tre romanzi che sgorga a Roma e sfocia a Abu Dhabi. Qui, Ferri ritrova personaggi coinvolti o sfiorati dalle sue indagini che nella città degli Emirati Arabi hanno trasferito le loro losche attività. E l’azione lenta e riflessiva, come nei noir d’antan, si trova davanti a un dilemma: vendetta o giustizia? Un interrogativo etico-morale che percorre le strade, i ristoranti e Karama, il quartiere del falso di Dubai – «un agglomerato di brutti palazzoni, colorati tutti sul beige, sul lato di una grande piazza, quasi tutti collegati l’uno all’altro da corridoi e passaggi coperti» – che tiene in allarme la coscienza di Ferri perché «non solo la crudeltà dei suoi nemici, ma anche i suoi limiti lo avevano portato dove si trovava ora».
Nel recensire un “giallo” si corre sempre il rischio di svelare, anche senza raccontare ovviamente “come va a finire”, gli intrecci, i colpi di scena, di cui il romanzo di Guarnieri è ricco. Anche le pagine, diciamo, di raccordo fra i vari punti salienti possono diventare un trabocchetto, tuttavia possiamo dire che in questo terzo romanzo, a un certo punto, fra riflessioni sulla propria, disordinata, vita sentimentale e su quella professionale, amici fatti sul posto e tutti gli amici e colleghi incontrati nelle puntate precedenti si danno appuntamento per aiutare Ferri nella sua impresa, accompagnata da altri eventi collaterali criminosi.
Ferri si muove in uno scenario in cui politica e malaffare vanno a braccetto ed è proprio il confronto fra male e bene (seppur il “bene“ del magistrato non sia lineare come abbiamo accennato sopra) che sta a cuore a Guarnieri, anche perché non sempre il bene trionfa completamente.
Suggestiva la prefazione di Mario Ajello, editorialista del “Messaggero” e scrittore.
Buona lettura.
(Alberto Guarnieri “Abu Dhabi blues” prefazione di Mario Ajello, Meridiano Zero, 2024, pp. 232, 18,00 euro recensione di Glauco Bertani).
(Si ringrazia la Libreria del Teatro, via Crispi 6, Reggio Emilia).
Il libro sarà presentato alla Libreria all’Arco mercoledì 2 ottobre alle 18 alla presenza dell’autore insieme ai colleghi Nicola Fangareggi e Lorenzo Sani.
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