Le quattro giornate di Elly

schlein

A volte mi viene da pensare che Elly Schlein non abbia mai messo piede in un’azienda in vita sua. Al di là della simpatia iniziale che ho già confessato, sulla formazione cosmopolita e sulle esperienze svolte sul campo nelle campagne elettorali di Barack Obama, la segretaria del Pd sta diffondendo in materia di economia opinioni sconcertanti e proposte sempre più balzane. Oggi è il giorno della settimana lavorativa di quattro giorni a parità di salario. Una misura da sperimentare, dice Schlein, perché utile a concedere più tempo ai lavoratori nella loro vita privata e addirittura foriera di (sconosciuti ai più) “aumenti di produttività”. Non è una voce: si tratta di dichiarazioni pubbliche rilasciate dalla testata Fanpage e riprese sui social dai principali media nazionali. A ciò, la leader dem aggiunge che, fosse per lei, dovrebbero essere aboliti tutti i contratti a termine.

È del tutto evidente che Schlein sia in campagna elettorale e cerchi di pescare voti in fuga o già fuggiti (verso l’astensione, i grillisti, un po’ verso i riformisti) sul tema del lavoro. Ma in un paese penalizzato da 2.800 miliardi di debito pubblico sul groppone, dove la sola forza trainante e unica speranza per il futuro è legata alla crescita delle nostre imprese situate al nord, alla manifattura, alle esportazioni di cui in Emilia-Romagna è maestra, ipotizzare misure politiche volte alla decrescita, ostili all’impresa come motore dell’economia, è puramente suicida. La visione dell’azienda dove il lavoratore viene sfruttato dal padrone cattivo appartiene all’archeologia del pensiero marxista-leninista. Se davvero Schlein conoscesse l’Emilia, le basterebbero due giornate in un’azienda a scelta del Bolognese, del Modenese, del Reggiano per capire come funzioni (e bene) l’economia.

Dove gli stessi sindacati, al netto di qualche eccesso protagonistico, collaborano con le imprese perché sanno che la ricchezza si redistribuisce grazie al successo del lavoro comune, e non certo con il consunto mito della lotta e delle divisioni sociali. Mi chiedo cosa stia diventando, questo partito nato per interpretare il mondo nel ventunesimo secolo, a forza di balzi indietro nella storia, quali che sono proposti da Schlein in versione armocromatica. Manca terribilmente una classe politica che sia mossa da pensieri alti e da studi approfonditi. Mancano i partiti, a cui la nostra bella Costituzione assegnò la funzione di organizzare politicamente la società. In trent’anni siamo arretrati su tutti i fronti. E il destino italiano, tra una lite e l’altra nella tv spazzatura, sembra segnato. Per non dire del destino di questa vetero-sinistra.




Ci sono 6 commenti

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  1. Carla

    Condivido la succinta ma chiara analisi del Signor Campani.
    Saltando di palo in frasca, credo di riconoscere in lui un mio esemplare alunno di prima media a Castellarano, dove insegnavo Lettere a metà degli anni Sessanta…
    Non mi dispiacerebbe conoscere il suo percorso di vita, grazie!
    Carla Fantuzzi

  2. Carla Fantuzzi

    Condivido la succinta ma chiara analisi del Signor Campani.
    Saltando di palo in frasca, credo di riconoscere in lui un mio esemplare alunno di prima media a Castellarano, dove insegnavo Lettere a metà degli anni Sessanta…
    Non mi dispiacerebbe conoscere il suo percorso di vita, grazie!
    Carla Fantuzzi

  3. Massimo Benassi

    Un appunto: chi scrive non è un giovanotto di 20 o 30 anni arrabbiato con lo stato di cose, o un ingenuo intellettuale che vive sulla sua torre d’avorio.
    Chi scrive ha i capelli, quelli rimasti, che ormai ingrigiscono.
    E che il sistema aziendale lo conosce bene, frequentandolo da oltre 20 anni, scalando pure qualche gradino gerarchico in una famosa azienda della zona.
    Le situazioni descritte non sono proprie di un’azienda particolare, ma sono il bignami delle decine di realtà locali con cui mi sono trovato a che fare.
    Beato lei se ha avuto a che fare solo con realtà solide e ben gestite. Le assicuro che non sono la normalità.

  4. Massimo Benassi

    Per informarsi a riguardo con un minimo di riferimenti:
    https://en.wikipedia.org/wiki/Four-day_workweek

    Gentile direttore,
    non nutro particolare simpatia per Elly Schlein (nè per il PD). Sembra in effetti conoscere poco non solo la realtà Emiliana, ma pure ciò che ha rappresentato storicamente la sinistra in Italia. Una figura che appare aliena, posticcia, col suo atteggiamento che strizza l’occhio ai dem oltreoceano che non pare compatibile nè con la situazione, nè con la mentalità del nostro Paese.
    Detto ciò, rimanendo invece sul tema dell’articolo, le critiche che Lei muove a Schlein, a miomodesto parere, potrebbero essere tranquillamente rispedite al mittente.
    L’opposizione senza quartiere di una larga parte di proprietà e dirigenze locali verso le nuove forme di flessibilità, di conciliazione casa lavoro, di “work-life balance” (come probabilmente la chiamerebbe Schlein) è assolutamente anacronistico, e dovuto ad una serie di fattori che nel medio-lungo periodo andranno a danneggiare irrimediabilmente quello a cui Lei si riferisce come ad un patrimonio inestimabile.
    Tra questi fattori, forse il principale è la senescenza dei vertici delle nostre care piccole e medie (e di alcune grandi) aziende.
    Dirigenze sempre più anziane anagraficamente, ormai con poca voglia e poca energia per rimanere al passo coi tempi. Che attendono la pensione, ed eventualmente consulenze ben retribuite dagli amici di una vita.
    Sempre più vecchie a livello di mentalità, con metodologie di lavoro sorpassate, inefficienti e sempre meno competitive nei confronti dei concorrenti e del resto del mondo. Che hanno studiato poco o nulla, negli ultimi 20-30 anni, e per questo si sentono minacciati da persone più giovani e competenti. Di riflesso, impongono il loro controllo fisico, in presenza, per quanto più tempo possibile, in maniera da giustificare la loro presenza in azienda (ed i loro cospicui emolumenti). Al posto di mettersi in gioco, organizzare il lavoro per obiettivi, con metodologie contemporanee, dando in egual misura intraprendenza e responsabilità ai team che lavorano con loro, fanno la guerra a orari flessibili, lavoro remoto, riduzioni dell’orario e tutto ciò che potrebbe evidenziare la loro inadeguatezza a ricoprire posizioni apicali negli anni Venti del secolo in corso.
    Questo cosa comporta? Che le risorse più formate, energiche e vitali sono spinte ad andarsene, a cercare aziende che non hanno timore di rinnovarsi e di rioganizzarsi, o peggio, a fuggire dal nostro Paese.
    E non mi soffermo neppure a parlare della grande risacca dello smartworking: le proprietà aziendali, dopo aver usufruito del lavoro da remoto durante la pandemia, richiamano i dipendenti non per motivazioni legate ed efficienza e produttività, ma per non svalutare i loro preziosi immobili adibiti ad uffici. I soliti imprenditori-rentier italiani, sempre preoccupati di privatizzare gli utili e rendere pubbliche le perdite.
    L’argomento portato da Schlein non riguarda una lotta di retroguardia novecentesca. Al contrario, le Sue mi paiono argomentazioni deboli, che vanno a sostenere posizioni retograde e quantomeno male informate.
    Lei scrive: “la ricchezza si redistribuisce grazie al successo del lavoro comune, e non certo con il consunto mito della lotta e delle divisioni sociali”. A guardarsi in giro le divisioni sociali sembrano più vive che mai. Sulla lotta invece posso darLe ragione: non esiste più. C’è una parte che ha vinto, e non ha fatto prigionieri. E converrà con me che di sicuro questa parte non voterebbe a sinistra. Parlando della sinistra da viva, si intenda.

  5. Campani Gian Pietro

    Questa nostra economia, nel suo complesso, ha troppe mordacchie, occorre inaugurare una stagione di “briglie” sciolte e i lavoratori dovrebbero inaugurare una stagione rivendicativa. Lavorare di più, percepire di più per osare di più; unica condizione per tutti: una onesta fiscalità. Ho vissuto la felice stagione del passaggio dalla civiltà contadina alla civiltà industriale, le iniziative industriali nascevano ovunque e i lavoratori facevano più di un lavoro, risultato? 5 PIL e tetto sulla testa per i più. Sintesi grossolana? forse si, ma così certamente non va. Unitamente a questo occorre pensare a una nuova organizzazione sociale che non può limitarsi ad avere questa classe politica, questo Sindacato è questa Confindustria


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