Le armi buone

don Giuseppe Dossetti Centro Giovanni XXIII Reggio Emilia

Presentandosi al suo popolo, la sera dell’otto maggio scorso, papa Leone XIV ha esordito con il saluto di Gesù risorto: ”Pace a voi” (Gv 20,19). Ha poi ripetuto l’augurio in diverse occasioni, mostrando così la sua principale preoccupazione, in questo inizio di pontificato.

Il rischio è tuttavia che la parola “pace” sia banalizzata, interpretata, sottilmente o apertamente derisa, come quando si ricorda il detto latino “Si vis pacem, para bellum”: “Se vuoi la pace, preparati alla guerra”, procurati le armi più efficaci, più capaci di dare la morte. Il guaio è che questa frase ha una certa logica e anche qualche conferma nella storia. Tuttavia, anche coloro che vedono la deterrenza militare come l’unica strada per mantenere l’equilibrio delle forze dovrebbero leggere qualche libro o guardare qualche documentario, per rendersi conto del prezzo che essi impongono a persone che la guerra non l’hanno voluta, o sono ingannate dalla propaganda.

Valga come esempio la storia di Vito Alfieri Fontana, inventore di sofisticate mine antiuomo e titolare di una fabbrica che deteneva il primato mondiale in questo campo, e ne aveva già fabbricate due milioni e mezzo. Non so se tutti sanno come funzionano le mine antiuomo: esse esplodono non quando vengono calpestate, ma quando il piede si solleva. Lo scopo, infatti, non è di uccidere, ma di mutilare: un mutilato costa al suo Paese molto più di un morto, in cure mediche e assistenza sociale. Inoltre, esse hanno di mira, ancora più che i soldati, i civili, inclusi i bambini, dato che spesso vengono camuffate così da sembrare dei giocattoli. Restano in agguato, anche se le operazioni militari sono terminate.

Ebbene, Alfieri Fontana aveva avuto un grande successo. Non mancavano le critiche, ma egli rispondeva con le solite giustificazioni: “Se non le fabbrico io, le fabbricherà qualcun altro”, “Sono strumenti di guerra, non possono essere criminalizzate”, “Comunque, si dà un lavoro e uno stipendio a tanta gente”.

Un giorno, però, andò in crisi. Il suo bambino di dieci anni gli chiedeva che lavoro facesse e lui decise di dirglielo apertamente. Il ragazzino volle sapere tutto e alla fine gli disse. “Dunque, papà, tu sei un assassino”. Di lì, cominciò un cammino di riflessione, favorito anche dall’incontro con don Tonino Bello. Alla fine, chiuse l’azienda, liquidò gli operai e si mise a disposizione, come sminatore, dell’organizzazione che bonificava l’ex Jugoslavia. Egli racconta la sua storia in un libro-intervista intitolato “Ero l’uomo della guerra”.

Qualcuno dirà che le mine antiuomo sono state bandite nel 1997 dalla Convenzione di Ottawa. Peccato che non tutti abbiano aderito, compresi gli Stati Uniti, la Russia e la Cina. L’Ucraina ha annunziato la sua uscita dal trattato e probabilmente altri Paesi ne seguiranno l’esempio. Va detto chiaramente che non esistono armi buone e armi cattive. La guerra è un mulino che stritola ogni limite morale, come la storia del secolo scorso ha dimostrato.

Nelle scorse settimane, è stata condotta un’esercitazione del nostro Esercito, che ha simulato un attacco missilistico russo contro Cagliari. Erano schierati i migliori sistemi difensivi di cui dispongono i Paesi Nato. Ebbene, sei missili hanno “bucato” le difese e in caso di guerra vera la Sardegna sarebbe stata colpita. È facile immaginare la reazione dei vertici militari: l’insuccesso è stato attribuito allo scarso numero di sistemi difensivi, con la conseguente richiesta di aumentare le spese militari. Sembra dunque che il preparare la guerra non contribuisca alla pace. Ma neanche alla sicurezza (una versione in tono minore): lo dimostra la guerra di Gaza, nella quale, rispetto alle guerre precedenti, Israele sta pagando un prezzo più alto.

Insomma, forse hanno ragione i papi Francesco e Leone, che vedono nella produzione e nel commercio delle armi il combustibile per gli incendi di guerra. La cosa che mi preoccupa di più è che ormai la guerra sembra aver ricevuto cittadinanza. Ma sappiamo cos’è una guerra? E poi, da chi dobbiamo difenderci? Non c’è un’alternativa, che sia la costruzione di rapporti di rispetto e di amicizia? Leggiamo qualche libro di storia, sotto l’ombrellone.




There are 1 comments

Partecipa anche tu
  1. paolo

    Purtroppo le persone eticamente deviate possono leggere qualsiasi libro di storia, ma hanno una capacità di non apprendere fuori dal comune, il loro pensiero è dicotomico, devono essere sempre contro qualcuno o qualche cosa, sono facilmente plagiabili e condizionabili e l’epoca dei social ha aggravato questa condizione di seminfermità mentale.


Post a new comment