La “Porno società” di Paolo Simoni

Paolo Simoni

Già in rotazione radiofonica e disponibile sulle piattaforme streaming e in digital download, “Porno società” è il nuovo singolo di Paolo Simoni che anticipa “Anima”, l’album di inediti, piano e voce, in uscita il 5 febbraio (pubblicato da Riservarossa Records e distribuito da Warner Music).

“Porno Società” è un brano dalle sonorità jazz con cui il cantautore emiliano-romagnolo ironicamente descrive la società occidentale che insegue le mode.

Perché “Porno Società” Paolo? Cosa più t’infastidisce del “nuovo” mondo?
È una denuncia ironica nei confronti della società moderna, in cui noi ci ritroviamo dalla parte essenzialmente dei “consumati” anziché da quella dei consumatori. Oggi siamo noi gli erosi dal sistema, siamo noi gli oggetti in vendita. Questo aspetto che riguarda l’esternare a tutti i costi sui social qualsiasi emozione, dimenticandoci di quello che siamo, che ci appartiene realmente, che ci portiamo dentro.

L’ironia che mi appartiene è la chiave più congeniale quando voglio parlare di cose spigolose: mi è venuto questo titolo provocatorio, che credo rappresenti al meglio il concetto. Sembra una via di non ritorno: che cosa stiamo dimostrando alle nuove generazioni? Dobbiamo sentirci in colpa, e questo è un punto di partenza: ci vuole più responsabilità. Dovremmo cercare di consegnare al prossimo un po’ più di consistenza, dal punto di vista dei valori della vita.

Io di pagine social col tuo nome ne vedo tante, però: sei social per necessità quindi, o cosa?
Non è tanto quanti profili hai, ma il come li usi che fa la differenza. Non accuso il mezzo, ma denuncio l’uso improprio che ne facciamo: se mi bevo un bicchiere di Brunello mi diverto, ma se mi sfondo lo stomaco con un’intera cassa è diverso. I social devono essere usati per passare messaggi veri, anche artistici, di lavoro, ma che non diventino una vetrina, un luogo per l’appunto pornografico: basta aprire Instagram o Tik Tok e ci si accorge che è tutto un mostrare.

Oggi tutto è una forma di spettacolarizzazione: siamo invasi dalla televisione spazzatura, ma internet non è meglio. Io nella vita posso farne a meno? Mi piacerebbe, ma non è possibile. Il cantautore che si ritrova a fare questo mestiere, oggi, non può fare a meno di farsi promozione attraverso i social, ma l’imperativo deve essere quello di cercare di raccontare qualcosa che abbia un minimo di senso.

 

Hai frequentato il Conservatorio di Ferrara, sei stato allievo del maestro Pasquale Morgante e di Iskra Menarini, con cui hai studiato canto moderno. Le basi e i buoni maestri sono fondamentali, è un dato di fatto. La musica però, oggi, è fatta ahimè di molta improvvisazione. Anche questo è un lato “porno” della società?
È fatta di vuoto di contenuti. Tutto è mercificato. Uso e abuso: un continuo consumo uso e getta. Sì, è così anche per la musica, mercificata: i giovani non approfondiscono più. Io credo nelle minoranze ma, in generale, non approfondiscono nulla e sono poco profondi nei sentimenti, perché i grandi non gli danno gli strumenti per farlo. Vanno accusati i grandi.

Per affrontare la vita ci vogliono i maestri giusti, ma anche i libri, i dischi, i concetti, la profondità di pensiero adeguata. La maggior parte dei brani in uscita parla d’amore e spesso in modo debole: sono venuti a mancare anche lì i grandi temi nelle canzoni d’amore. In più oggi i brani sono molto prodotti, molto compressi, sempre troppo equalizzati, perché deve sempre arrivare prima il suono. C’è carenza di spessore, c’è assenza di contenuto. Siamo in un punto storico dove o si svolta, o non lo so. Il decadimento è importante: mi chiedo cosa penserebbero oggi un Gaber o un De Andrè; se fossero ancora con noi, mi piacerebbe sapere il loro pensiero, cosa avrebbero raccontato dell’oggi.

 

Di premi (e prestigiosi) ne hai vinti molti. Cos’ha fatto scattare la scintilla in Claudio Maioli, manager di Luciano Ligabue, che ti ha proposto subito di aprire i concerti del rocker emiliano negli stadi San Siro e all’Olimpico?
Maioli è un emiliano come me, radicato, che non si è mai spostato dalla sua terra nonostante i successi: è nata una grande amicizia e ormai sono 10 anni che collaboriamo. Il primo impatto con le canzoni è stato importante: mi ha detto che era da tempo che non sentiva canzoni così. Mi chiese altre cose e aprii i “cassetti” del database del computer, da dove tirai fuori una cinquantina d’inediti. Si rese conto che avevo preso sul serio la cosa e si appassionò.

È stata ed è un’amicizia nutriente, ricca di confronto. Ha voluto produrre un giovane che scrive in una certa maniera, ma in cui alberga un sentimento che rispecchia quello dei vecchi cantautori e che sentiva nelle radio libere. Ha prodotto anche questo mio ultimo album, ci crede come me: ho peraltro deciso di non voler arrangiare i brani.

In “Porno società” c’è una cassa che ho elaborato percuotendo il pianoforte; ho desiderato riprodurre lo stile anni ‘70 usando i microfoni valvolari. Scelte precise, ponderate: era da tempo che sognavo di fare un disco in cui arrivassero le canzoni senza sovrastrutture; rimandando tutto allo strumento, in modo che i brani stessero in piedi da soli. Se la canzone sta in piedi da sola, è buona. L’approccio che ho usato nel realizzare il singolo è piaciuto. Ho scoperto però facendo l’album che è sempre più difficile togliere che aggiungere.

 

Nell’estate del 2011 il singolo “Crisi” rientra nella top 50 dei brani più trasmessi dalle radio. Ad agosto 2012 esce “Ci voglio ridere su” e il secondo album che contiene anche il duetto “Io sono io e tu sei tu” con Lucio Dalla. Com’è stato lavorare con un gigante come Lucio?
Lucio l’ho conosciuto quando avevo 14 anni, perché seguivo Iskra nei concerti, stando in disparte nei camerini e nei corridoi. Ho imparato osservando il lavoro: ero introverso, timido, anche se nel tempo ho lavorato anche su quello. Lucio mi sollecitava a scrivere. Gli facevo sentire sempre i pezzi nuovi che realizzavo, fino al giorno in cui mi ha detto che ero pronto, che avrei potuto camminare con le mie gambe.

Poi accettò di cantare con me su quel brano e ci divertimmo molto. Un genio. Non ho mai incontrato un altro dello stesso livello, per il carisma e la totalità di valori che rappresentava, umani e musicali: toccava qualsiasi piano della vita riuscendo a metterci dei colori. Riusciva a mettere arte e a trovarla anche dove non c’era. Penso sia andato via troppo presto. Cerchiamo di eguagliarlo, almeno nei sentimenti, perché lui era tanto e faceva tanto anche per i giovani. Proviamo a raccontare le cose come hanno fatto lui, Gaber, De André, Vecchioni, la cui musica ancora oggi riempie i teatri. Alcuni testi andrebbero studiati alla stregua di un’opera letteraria. Ecco, ci vorrebbe umiltà. Quella vera passa anche dal conoscere quello che c’è stato prima di te, i tuoi limiti e provare a eguagliare quello chi ti ha preceduto.

 

“Porno società” anticipa l’uscita del nuovo album di inediti “Anima”, un disco piano e voce. La tracklist è stata annunciata e, a proposito di featuring, qui ne hai uno con Vecchioni: “L’anima vuole”, che in qualche modo darà il titolo all’album…
Siamo stati in tour insieme, sono un suo fan, ho letto tutti i suoi libri, gli appunti e abbiamo avuto questo incontro in cui abbiamo parlato del disco. Io gli ho chiesto di essere ospite, lui mi ha chiesto di aprire i suoi concerti, ed è stata un’esperienza magnifica. È un grande cantante, ma ho avuto soprattutto il piacere di conoscerlo come uomo: ironico, attento, appassionato di dolci. In studio ho una foto grande, stampata, di Vecchioni mentre mangia con avidità il dolce mentre eravamo a cena insieme. Sono anche queste le cose che ti rimangono dentro.

Ci siamo sempre divertiti tanto: quando suonavo si metteva dietro alla tenda, mi ascoltava, andava a tirare fuori delle cose che non gli tornavano e si discuteva per ore. Un arricchimento costante. Mi sento molto fortunato, perché in questi anni di musica non ho fatto solo dischi e scritto per altri, ma ho avuto una vita costellata d’incontri importanti, che mi hanno messo di fronte a me stesso e fatto prendere coscienza di alcune cose. Questo disco è un po’ un sunto di tutte queste esperienze”.

 

C’è stata anche la partecipazione, nel 2013, al Festival di Sanremo nella categoria Giovani con il brano “Le Parole”, il cui valore è stato riconosciuto dal Premio Lunezia. Siamo vicini alla kermesse. Sanremo cos’ha rappresentato e cosa rappresenta per un artista italiano, a dispetto della montagna di critiche che ogni anno il pubblico, comunque fedele, è capace di rovesciargli contro? Anche qui entriamo nella dinamica della “porno società”?
Fa parte del nostro dna, Sanremo è come la mamma: si guarda, non se ne può fare a meno. Quello che non piace degli ultimi anni magari è il trash: se ci si sofferma ad ascoltare le canzoni non sempre se ne esce vivi. Quest’anno si era presentato Bobby Solo con una mia canzone, ma Amadeus non l’ha voluto: hanno scartato canzoni molto valide, molto importanti, ma Sanremo – come diceva Pippo Baudo – è sempre Sanremo. Si chiama Festival della canzone italiana e bisognerebbe quanto meno dare la priorità a quello e alle canzoni che lasciano il segno: è l’unico augurio che faccio a Sanremo. Il nostro imperativo dovrebbe essere quello di lasciare un segno, di scrivere qualcosa che rimanga nel tempo.

 

Come autore hai scritto “Lettera”, interpretato da Gianni Morandi (“D’amore D’autore”), e “Davvero” per Loredana Bertè (“Libertè”). Nel 2018 hai pubblicato il libro “Un pesce rosso, due lesbiche e un camper” (Compagnia Editoriale Aliberti). Tra tutte le cose che hai fatto, i rami dell’arte che hai assaggiato con stile, qual é quello che meglio ti rappresenta, che ti fa sentire più a tuo agio?
Scrivere e cantare le canzoni col piano, ma direi scrivere, che sia per me o per glia altri, è tutto: l’ispirazione che bussa alla finestra, questo. Io da un po’ di anni mi sono fatto uno studio “bunker”, in modo che in caso arrivi l’input di notte io possa subito buttarlo giù. L’artista non può distrarsi, deve essere pronto quando arriva la prima nota, la prima parola. Ho microfoni e quaderni ovunque, il telefonino se sono in strada in modo che possa registrare al momento. Ci spendo ore, giornate intere, e mi sento molto nutrito da tutto questo. Anche il palco e il contatto con il pubblico sono importanti, è un atto sacro ma viene dopo; la condivisione arriva con lo step successivo.

Quando scrivi qualcosa, poi la senti cantata da un’interprete diverso, hai come la percezione che ti ritorni maggiorata. È chiaro che la scrittura è diversa: se scrivi per te puoi scrivere quello che ti pare, quando scrivi per gli altri devi domandarti, sapere chi è, chiederti se la canterà, cercare la modalità sonora nella melodia; è un’indagine continua e mi diverte tantissimo, poi ti domandi se ci avrai preso. È un mestiere che impari negli anni, come un artigiano che costruisce una sedia: impari dopo la metodica, impari quando torna indietro.

Quando Loredana Bertè ha ascoltato il brano e mi ha detto che sarebbe potuto andar bene anche a sua sorella, mi ha riempito d’orgoglio. È per questo che mi piace scrivere: quando entri nelle pulsazioni dell’altro, ti ritorna indietro la vita. Siamo tutti collegati. L’arte ci dà la grande opportunità di congelare le emozioni. Le canzoni sono distillati di vita, piccoli estratti che dobbiamo preservare: dobbiamo cercare di farlo nel migliore dei modi, in modo che venga fuori la migliore delle grappe.