Reggio Città delle Persone. La pezza antropocentrica dell’assessore Marchi

Daniele Marchi

L’intervento dell’assessore a Bilancio e Welfare Daniele Marchi, che ha introdotto i lavori di discussione e voto sul Bilancio di previsione 2024-2026 in Consiglio comunale.

“Correva l’anno 2008 quando il Comune di Reggio Emilia, allora guidato da Graziano Delrio, scelse come progetto politico quel “Città delle Persone” che poi è entrato nell’identità, non solo comunicativa, del Comune stesso – ha detto Marchi – Fu scelto perché era già nel “capitale sociale” di una città che dalle scuole agli ospedali, dalle farmacie ai teatri, dalle cooperative al volontariato… aveva investito in “comunità”.

Da quell’anno sono passati oltre 15 anni, una crisi finanziaria ed economica globale, una pandemia, svariate guerre, diverse ancora in corso, tra cui una in Europa. E sono passate anche tre giunte, due sindaci e stanno per passare la quarta giunta e il terzo sindaco. Ma il progetto politico è rimasto, Reggio Emilia ha tentato ancora, anche in questi anni, anche sotto la guida di Luca Vecchi, di realizzare quel progetto politico della Città delle Persone.

Vorrei in quest’ultima relazione di Consigliatura pormi assieme all’Aula e ai consiglieri due domande molto semplici: quanto di quel progetto politico in questi anni, in modo particolare questi ultimi cinque che ci hanno visto direttamente coinvolti, è stato realizzato? Se e quanto la Città delle Persone è ancora un progetto politico valido per Reggio Emilia, anche per i prossimi anni.

Il Bilancio di un Comune è certamente un documento di carattere tecnico-finanziario, ma è anche il più importante atto politico che il Consiglio discute e approva. Quindi è normale concentrarsi sulle singole voci di spesa ed entrata, vigilare sugli equilibri complessivi e proporre come farete emendamenti ed ordini del giorno puntuali.

Ma vorrei proporre una riflessione anche più generale su quella che credo essere la miglior sintesi delle diverse politiche messe in campo in questi anni.

Reggio Emilia Città delle Persone ha un significato ben preciso: “La città è per sua natura “città delle persone”: luogo che prende vita dalle relazioni tra le persone, dall’esercizio dei diritti di cittadinanza, dalla pratica della convivenza. Parlare di Città delle Persone significa parlare di città conviviali, in cui al centro del pensiero che orienta le politiche pubbliche c’è la persona. C’è la persona molto prima delle cose e degli strumenti di cui questa si serve. Con la persona, implicitamente, si mette al centro la relazione con l’altro”.

La persona viene “molto prima” di tutto il resto. Mi si dirà “e chi non è d’accordo su questo?”…. Non lo so, lo chiedo a voi. Siamo tutti concordi su questo? Da destra a sinistra, dal centro ai civici? Chiedo. Sarebbe un primo “voto” favorevole dell’Aula che registrerei con piacere. Lo chiedo alle opposizioni, ma lo chiedo anche alla maggioranza: siamo tutti ancora d’accordo su questo? O come qualcuno sostiene, anche da sinistra, sono parole di un “ciclo” che si è chiuso? Adesso è il tempo della città degli alberi, piuttosto che della città delle aree sgambamento cani, o la città delle antenne o delle “forze armate”, oppure degli italiani prima di tutto, la città sì ma non degli africani… non lo so, chiedo.
Io do, per quel che conta, la mia risposta. Del possibile libro che racconta la storia di “Reggio Emilia Città delle Persone”, siamo solo alle pagine introduttive. È assai più quel che abbiamo da fare davanti a noi, rispetto al pur tanto che abbiamo già fatto.
E cosa abbiamo già fatto, o iniziato a fare. Provo a tracciare alcuni punti.

Innanzitutto abbiamo cercato di interpretare, in una stagione di forte crisi della politica e della rappresentanza in generale, alcuni tratti di uno stile nuovo che vede la città come una comunità e non la semplice somma di individui, i cittadini protagonisti e portatori di diritti e responsabilità e non come clienti di prestazioni, lo stile cooperativo e collaborativo come matrice del confronto politico e istituzionale. Le politiche di partecipazione, la prossimità dei servizi, i laboratori di quartiere e di cittadinanza e in ultimo le Consulte e in generale i numerosi dispositivi di governance interistituzionale e partenariato pubblico-privato ne sono la dimostrazione concreta. E di investimento nel capitale sociale, che non misuriamo nelle partite di bilancio, ma che nella Città delle Persone è l’investimento principale.

C’è poi nella città delle persone un modo diverso di stare anche dentro all’idea di sviluppo del territorio in generale, dando per quanto di nostra competenza il nostro contributo: direttamente immettendo risorse, tra piano degli investimenti e committenza di servizi, in costante crescita in questi anni; snellendo e semplificando per quanto possibile le procedure; calmierando in questa fase inflattiva gli effetti su cittadini e imprese assorbendo l’aumento dei costi senza aumentare tariffe e tasse; regolando (anche non da soli) a tutela della qualità, della legalità e dell’equità; investendo direttamente in infrastrutture per la crescita sostenibile e di qualità. La rigenerazione delle Reggiane è la sintesi di tutto questo. Ma anche gli investimenti sui Parchi industriali, sull’accessibilità della Mediopadana, su alcuni grandi problemi infrastrutturali come Tangenziale Nord, Bretella di Rivalta e Tangenziale di Fogliano, nell’accompagnamento alla realizzazione dell’Arena Campovolo come possibile pivot di nuove filiere industriali in ambito culturale e non solo. Ma anche azioni più piccole come la DeCo del Cappelletto o che l’Igp dell’Erbazzone: sono modi di giocare il ruolo pubblico nello sviluppo anche economico del territorio in una relazione collaborativa e contributiva. E non da ultimo nella relazione con l’Università e negli investimenti per l’Università.

Nella Città delle Persone l’idea di comunità e l’idea di città si fondono. Per cui la sostenibilità della città è la sostenibilità della comunità e delle persone. Per questo il Piano urbanistico generale è forse il più “umanistico” della storia della città. Perché la rigenerazione urbana è sempre anche rigenerazione sociale. Perché la sede della Polizia locale in Zona stazione non è solo il recupero di un immobile vuoto e degradato in un quadrante complesso, ma è anche funzione sociale e relazionale che genera sicurezza non perché ci sono i lampeggianti dei poliziotti, ma perché ci sarà anche la loro capacità di costruire ancora di più legami. Lo stesso sarà per il progetto R60. Lo stesso è stato per le Reggiane e Santa Croce. Lo stesso dovrà essere per ogni altro intervento che non dovrà accontentarsi di non consumare suolo, ma dovrà preoccuparsi di generare comunità.

Tutto questo, continuando a investire incrementando risorse e innovando processi e servizi nei pilastri dell’azione dell’Amministrazione: Welfare ed Educazione. Con un ruolo necessariamente centrale del Comune nel governo della domanda di servizi, nella lettura dei bisogni, quindi di prossimità nella relazione con i cittadini e le famiglie; condividendo sempre di più e sempre meglio la responsabilità nell’erogazione delle prestazioni, col sistema pubblico nel suo complesso (in particolare con la Sanità), ma anche col privato sociale, il volontariato secondo quel paradigma di amministrazione condivisa che supera definitivamente i processi di esternalizzazione “per risparmiare”, per costruire responsabilità pubblica condivisa; il Patto di contrasto alle nuove povertà va in questa direzione stimolando sempre più anche il ruolo sociale delle imprese; l’intero progetto Città senza Barriere, oltre ad essere una grande innovazione nei servizi per le persone con disabilità, è anche una straordinaria piattaforma di governo della domanda, ricomposizione della risposta e in definitiva di amministrazione condivisa. Così come il lavoro di comunità dei Poli territoriali e, in prospettiva, la grande sfida delle Case della Comunità quale innovazione storica nei servizi.

Infine il Progetto educativo come progetto culturale e viceversa. Cito Scuola Diffusa come paradigma non solo di risposta resiliente e innovativa durante una crisi di sistema come quella della pandemia, ma anche e soprattutto come estensione dell’approccio reggiano ad altre età, ad altri contesti, ad altre “infanzie”. Così come quello che abbiamo iniziato a chiamare Welfare Culturale che non a caso coinvolge Fcr e le Fondazioni culturali: un nuovo ruolo della cultura come fattore di inclusione sociale e, soprattutto, come nuovo valore della fragilità come fattore di crescita culturale di un’intera comunità.

“Nella città delle persone al centro sono le persone declinate al plurale. Per rispettare le diversità, per evidenziare la comunità. Le persone nei loro doveri, nella relazione con l’altro, nella convivenza. Ciò significa che ognuno ha diritto alla propria soggettività e che, al contempo, le persone insieme sono comunità: nessuno sarà mai lasciato indietro o abbandonato alla propria solitudine. Significa vivere una comunità fatti di altri che si riconoscono, una comunità che si da del noi”.

In questi anni – ha concluso Marchi – abbiamo tentato di accompagnare i reggiani ad essere una comunità che si da del “noi”; ci siamo riusciti ora di più, ora di meno; ma cercando di restare fedeli e impegnati in quel progetto politico della Città delle Persone, che abbiamo ritenuto valido per questi anni, e che io personalmente ritengo ancora valido anche per i prossimi.

E voi ritenente ancora valido tutto questo?”.



Ci sono 5 commenti

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  1. Muzio Scevola

    …parole…parole…parole…….parole…parole…parole….soltanto parole…
    almeno la interpretassero cantandola ben intonata…


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