Vedo tante persone arrabbiate e questa rabbia la riscontro in me stesso. Cerco di essere razionale, di fronte alla pandemia; mi ripeto che non ha senso cercare il colpevole, che non c’è nessun complotto, ma mi scopro più insofferente di fronte ai limiti altrui. Sono convinto che il limite dell’uomo è un dato di natura, che dobbiamo accettare la morte (sperando che venga il più tardi possibile), ma, in fondo in fondo, continuo a credere di essere immortale. Probabilmente, su di me e sugli altri, pesa la durata senza fine prevedibile di questo contagio. Due anni fa, credevamo che prima o poi tutto sarebbe finito e saremmo potuti tornare alla vita di prima: oggi, l’unica cosa certa è che dovremo convivere con cambiamenti irreversibili, che solo molto parzialmente possiamo immaginare.
La nostra buona educazione e un sano istinto di conservazione ci spingono ad accettare la realtà e ad adattare stili di vita e progetti a questi scenari. Ma c’è un sintomo, che rivela che i nostri sentimenti profondi tendono a un’altra direzione. Questo sintomo, è la facilità con la quale giudichiamo gli altri. Non che ne manchino i motivi: ma il giudizio non dovrebbe prevalere sulla misericordia. Almeno, così pensa l’apostolo Giacomo, che scrive nella sua lettera: “Parlate e agite come persone che devono essere giudicate secondo una legge di libertà, perché il giudizio sarà senza misericordia contro chi non avrà avuto misericordia. La misericordia ha sempre la meglio sul giudizio” (2,12s.).
Anzitutto, dobbiamo riconoscere che su di noi pende un giudizio, il giudizio di Dio. Sarebbe molto importante prenderlo sul serio, rinunciando una buona volta alla pretesa di essere noi i giudici di tutti e di tutto. Questa pretesa è in fin dei conti quella di Adamo, che vuole essere “come Dio”. Il tempo che stiamo vivendo dovrebbe colpire a morte questa pretesa e dovrebbe aiutarci a riconoscere in essa la radice di tutti i mali; nello stesso tempo, le sofferenze di questi anni dovrebbero aiutarci a riconoscere ciò che è veramente importante, la bontà, la solidarietà, il rispetto, la cura reverente per chi soffre.
Il divino Giudice giudica “secondo una legge di libertà”. Le leggi umane vincolano e prevedono un castigo; la legge di Dio è invece liberante, perché rassicura, contenendo una promessa. Anzi, questa promessa è già a disposizione e si chiama “misericordia”. Gli uomini contrappongono giustizia e misericordia: ma, come ricordava san Giovanni Paolo II, solo la misericordia è vera giustizia. La giustizia degli uomini ha di mira il ristabilimento di un ordine, e si basa sulla proporzione tra premio e castigo: la giustizia di Dio ha di mira la dignità dell’uomo, che la misericordia rammenta a coloro che l’hanno dimenticata e che diventano incapaci di riconoscerla in se stessi e negli altri.
Abbiamo bisogno di ripartire e la misericordia può essere la forza che dà slancio e coraggio. Sapere che c’è un giudice sopra di noi, può renderci più umili; sapere che è misericordioso, può darci la fiducia di osare e di essere perseveranti nel bene. “Non lamentatevi, fratelli, gli uni degli altri, per non essere giudicati”, ammonisce ancora Giacomo (5,9). Chi si lamenta dell’altro uomo è da compiangere: ponendosi nella posizione di vittima, rinunciando alla propria responsabilità, escludendo di osare vie nuove, egli si rinchiuderà ben presto in una passività rancorosa. Egli non cercherà aiuto, ma solo conferme alla propria inerzia. Non cercherà aiuto, ma piuttosto alleati nella sua sterile guerra contro il mondo.
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