Mattia Caroli e ‘La mia generazione’

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La televisione e i social hanno appiattito e distorto sentimenti ed emozioni.

E’ “La mia generazione”, come cantano “Mattia Caroli & I fiori del male”: titolo del brano fresco di pubblicazione, prodotto da Leo Pari e anche primo singolo italiano della band reatina, che anticipa l’EP “Come non fossi qui”, di prossima uscita.

<<Tutte e due le cose. Iniziamo da un indie folk blues e con il tempo – grazie alla curiosità verso nuovi stili, ai viaggi, ai tour all’estero, che sono stati tanti – abbiamo sviluppato delle idee diverse. L’incontro e lo scambio di vedute con altri artisti, i soggiorni, Berlino per l’elettronica, sono stati fonte d’ispirazione e ci sembra giusto non riproporre le stesse cose, ma cercare di dare nuove forme ai suoni e alle parole. Nessun obbligo commerciale, solo la necessità dettate dall’esperienza accumulata. Una volta deciso il genere su cui orientarci, ci siamo affidati all’esperienza di Leo Pari, che ci ha guidato verso una forma di elettro pop ispirata anche da altre band>>.

Nel nuovo singolo, parlate delle nuove generazioni come “fatte di televisione”. Anime che dimenticano amore e poesia, in una terra desolata – che è poi la capitale – usurata dai ricordi e dalle sofferenze. E’ la tua, la vostra generazione, o il problema è radicato nell’intera popolazione? E’ un’ammissione di colpe, o un’accusa?

<<Anche qui c’è un’ambivalenza. Direi, tutte e due le cose insieme. Noi, siamo dei primi anni ’90, ma c’è comunque sempre una sorta di ciclicità tra una generazione e l’altra, anche se cambiano i mezzi o l’utilizzo che si fa degli stessi. Oggi abbiamo i social, i nuovi media, ma la televisione ci è stata inculcata come regina indiscussa. Perplessità, più che accusa. Nella Roma che raccontiamo ritroviamo una metropoli che separa, ma che nel contempo instilla una sorta di saggezza nelle persone>>.

Nel videoclip, gli sguardi spenti volgono al passato, nella metropolitana regna l’indifferenza, ma c’è chi non si arrende, chi non vuole bruciare: due amanti si baciano nel traffico dimenticandosi di tutto quanto li circondi. All’interno di questa storia, voi siete il bacio, lo sguardo indiscreto che vi si appoggia sopra, il disturbo di frequenza su cui giocano le riprese; cosa? Come vi vedete all’interno di questo quadro?

<<Sicuramente come un occhio che si trova sopra. Me lo immagino, dal punto di vista della prospettiva cinematografica, proprio come un occhio che osserva ma che non interviene. Siamo come un pittore che sta dipingendo un quadro: ci mette naturalmente molto del suo, ma rimane esterno alla situazione iconografica che vuole descrivere, anche se probabilmente prende una posizione. E noi, diciamo che siamo dalla parte della coppia, questo sicuramente. Il nostro “sguardo” non è lì per cambiare e cose: descrive la realtà in maniera distaccata. Scegliendo un sound elettronico, è maturata l’idea – con Giacomo Verde – di descrivere il tutto come un flusso televisivo: ne esce una Roma distopica, confusionaria, come del resto ogni metropoli>>.

Singolo e videoclip, sono infatti dedicati alla memoria di Giacomo Verde, regista del video e pioniere della video arte italiana, venuto a mancare lo scorso maggio dopo una lunga malattia. E’ stato un duro colpo…

<<Sì, è stato ed è ancora molto complesso rapportarci con questa tristissima realtà. Abbiamo lavorato con lui con grande trasporto; abbiamo fatto una prima versione e poi abbiamo deciso di virare sviluppandone un’altra; siamo entrati in stretto rapporto, trasportati anche dalla sua simpatia, dalla sua voglia di vivere e non sapevamo che stesse male, da tempo, altrimenti probabilmente ci saremmo movimentati per accelerare il processo di uscita. Lui non vedeva l’ora che uscisse. Purtroppo, quando a maggio abbiamo ricevuto la notizia, abbiamo scoperto che non l’avrebbe mai visto fuori>>.

Cinque anni fa usciva il videoclip di “Saturday Morning”, dove la gente appariva già con le maschere a gas: destabilizza la veggenza?

<<Sì, un po’ sì. Anche se in quel videoclip vivevamo una sorta di disastro post nucleare che impediva i rapporti umani, ci siamo avvicinati molto, l’impronta era quella. Siamo stati lungimiranti, ha dell’incredibile. Inaspettato>>.

Con l’uscita del primo disco sono arrivati oltre 300 concerti, quattordici lunghi tour che hanno toccato le maggiori capitali europee, molti premi di prestigio, comparsate televisive importanti: come si affronta improvvisamente tutto questo? E alzando sempre più l’asticella, cosa ci si può aspettare – quindi – dall’immediato futuro?

<<Noi abbiamo sempre pensato più che altro a tappe biografiche, al non risparmiarci, al dare e avere sempre una sorta di creatività vivida e di determinazione e azione nelle cose che facevamo e quindi ci siamo “sacrificati” in grandi tour, proprio per far salire sempre di più l’asticella; ma per noi, in primis, per abituarci a chiedere a noi stessi sempre di più. Sono successe tantissime cose belle; abbiamo curato sempre molto i video – di cui ho fatto spesso anche la regia – abbiamo vinto premi internazionali, ma cosa succederà in futuro, rimane un mistero. Per ora ci ha pensato il Covid a farci sedere e meditare>>.

Son sicura che domani vi alzerete nuovamente e molto velocemente. Lo state già facendo: in cantiere avete l’uscita del secondo singolo e a gennaio quella dell’EP “Come non fossi qui”…

<<La prima fase del lockdown è stata importante, perché abbiamo finalmente trovato il tempo per scrivere cose nuove. Serve tempo perché la creatività esca fuori, allo scoperto; quando sei in tour non ne hai mai. Ogni giorno macini chilometri e non appena hai un attimo, piuttosto vivi, ti riposi, vai a vederti un museo. Adesso, non riuscendo più a capire come programmare il futuro, sta trasformandosi in un vero e proprio disastro, ma procediamo come da programma, le belle idee non mancano>>.