Matteo Macchioni è un tenore emiliano, molto apprezzato dal pubblico e dalla critica internazionale. Quest’anno festeggia i 10 anni di carriera, dall’esordio mediatico sui generis che è stato “Amici di Maria De Filippi” e da quello teatrale nel ruolo di Nemorino nell’Elisir d’amore di Donizetti, diretto dal Maestro Daniel Oren al Teatro Giuseppe Verdi di Salerno.
Un tenore da sold–out che, che come tanti colleghi, ha sospeso il tour in programma per quest’anno in Danimarca, gli impegni in Russia e Inghilterra, a causa della pandemia da coronavirus ed è stato costretto a posticipare – come tutti, appunto – i live al 2021.
Lo abbiamo raggiunto via Skype, nella sua casa, a Sassuolo, perché in questo periodo di confinamento, in cui il lockdown persiste per tutto il settore dello spettacolo a 360°, Macchioni ha deciso di pubblicare una lettera aperta al Presidente del Consiglio Conte e al Ministro Franceschini per ottenere maggiori tutele per quanto riguarda sia la contrattualistica che l’eventuale contingentamento dei teatri per una celere riapertura.
C’è da dire, Matteo, che a sostegno di questa esigenza comune a tanti – attori, musicisti, performer – tu hai avuto modo, in più, di sperimentare in prima persona, anche se in una fase embrionale, un primo effettivo tentativo di contingentamento del pubblico al Royal Danish Theatre di Copenaghen, l’8 marzo. E’ possibile, quindi, adottare misure precauzionali anche nei teatri, per evitare il propagarsi del contagio?
<<Premesso che io non abbia la verità in tasca, ho voluto portate l’esempio concreto di quanto vissuto in Danimarca in prima persona, nella fase iniziale del contagio. Era inizio marzo e nonostante non fosse ancora arrivato il lockdown, non fossero ancora obbligatorie le mascherine, si è cercato di portare avanti le produzioni teatrali contingentando il pubblico, limitando la capienza del sold-out.
In quel caso, erano più di 1.700 gli spettatori paganti, ma anziché annullare lo spettacolo – per garantire la sicurezza di tutti e permettere almeno a più della metà del pubblico di poterne godere – si è portato il numero degli spettatori sotto ai mille, considerato congruo per la struttura. La settimana successiva, sono dovuto poi rientrare per la nuova ordinanza e perché il lockdown si è esteso anche li, quindi non è stato possibile aggiungere altre date>>.
Qual’è stata, nello specifico, la risposta del pubblico a Copenaghen?
<<Non andrebbe chiesto a me ma al teatro, perché dal palco hai una percezione parziale, ma ho avuto la sensazione di grande disciplina, grande ordine, grande rispetto. Non erano ancora obbligatorie le mascherine>>.
Può lo spettacolo dal vivo, essere sostituito dalle piattaforme online?
<<Sono figlio dell’ultima generazione, sono giovane e tutto quello che è digitale non è mal visto male. Credo che lo streaming sia una risorsa e possa ampliare la possibilità di fruizione, ma che non ci si possa limitare a quello. Si è parlato tantissimo in queste settimane di come durante questa crisi, grazie alle nuove risorse tecnologie, sia stato possibile proseguire e addirittura ampliare l’offerta nella divulgazione culturale. Sono passati in televisione o sono stati caricati su web, spettacoli teatrali che in maniera anche lungimirante erano stati registrati a suo tempo, ma il teatro ha bisogno di essere vissuto a teatro. Bisogna continuare ad esibirsi anche dal vivo>>.
Il pubblico si è forse anche impigrito; si è abituato ad avere più contenuti a disposizione e gratuitamente. Credi che sarà ancora in grado di metter mano al portafoglio per diletto, per passare una serata diversa dalle altre? O ci sarà necessariamente un calo di richiesta, anche dovuta magari alla fobia?
<<Per la mia esperienza personale, anche se è difficile dirlo da artista perché io sono più sul palco che in platea, la sensazione – per le volte che sono stato spettatore per quanto riguarda l’opera – è che l’emozione di vivere l’opera dal vivo non sia sostituibile, sebbene esistano oggi i mezzi e la tecnologia digitale riesca a fare miracoli.
Probabilmente in futuro si arriverà a rasentare la regia cinematografica anche per il teatro, ma niente può sostituire le vibrazione che ti da una esibizione dal vivo.
Magari, in una prima fase di riapertura sarà difficile arrivare al numero contingentato di sicurezza, ma sono certo che pian piano arriveremo ai livelli pre-covid e contestualmente si amplierà anche il livello del pubblico digitale. Sono a casa, non lavoro come tutti, ma sono positivo e propositivo: voglio vedere il bicchiere mezzo pieno>>.
Credi che la gente, tornata ad una nuova normalità, si dimenticherà presto di quanto successo? Cosa rimarrà dopo la pandemia?
<<Io vorrei tornare al più presto ad una vita normale. Quello che vorrei dimenticare, lasciarmi veramente alle spalle, è la sensazione di ansia, di paura.
Non si deve però trascurare quello che abbiamo vissuto per essere pronti in futuro, con tutta la scaramanzia del caso, ad affrontarlo nuovamente, dovesse succedere ex novo qualcosa di simile: scordare l’angoscia, per vivere meglio; memorizzare quanto vissuto, per prevenire, per essere migliori domani>>.
Non sono richieste. Nella lettera aperta al Presidente del Consiglio e al Ministro Franceschini, le tue, sono considerazioni concrete; suggerimenti fattibili…
<<Sì, non è un giudizio ma un contributo. Ho voluto sottolineare più volte che non ci sia polemica alcuna, ma la voglia di condividere un vissuto e trovare uno spunto per ripartire, gradatamente.
Innanzitutto, penso che il distanziamento sociale, per evitare l’assembramento, possa essere pienamente controllato fissando numeri in percentuale alla capienza del teatro, che permettano di sedersi nel rispetto della normativa attuale.
Secondariamente, penso possa essere necessario distribuire un piccolo kit monouso all’ingresso. Mascherina e guanti sterili che dati in dotazione in quel momento, in un contesto ovviamente sanificato a regola d’arte, bypassino in maniera intelligente il fatto che qualcuno possa non averli conservati in modo adeguato e quindi favorisca il propagarsi del contagio.
Questo, unito ai protocolli di sicurezza sui lavoratori, i manutentori, gli spazi, gli artisti, che già esistono per gli altri settori. Pur considerando che un rischio ci può essere, che non si può evitare il propagarsi di un contagio al 100%, ragionevolmente, pensando ad una lunga fase di convivenza con il virus, credo si possa e si debba ragionevolmente garantire un servizio d’intrattenimento al pubblico; sperando, poi, in futuro, di poter ricominciare a vivere normalmente, senza pi gli stessi limiti>>.
Hai avuto risposta? Ti hanno fatto sapere, quanto meno, se l’hanno ricevuta, accolta, se la prenderanno in esame?
<<Ho diffuso la mia lettera aperta solo sui canali social. Come tanti artisti ho cercato di dare il mio contributo. Non so se verrà presa ad esempio, ma l’importante è che ognuno di noi porti avanti idee chiare, che aiutino a trovare delle ipotetiche soluzioni. La polemica non mi interessa>>.
Approfondiamo anche il discorso dell’equo compenso, di cui parli nella lettera: spiegamelo meglio…
<<Questa è una realtà che va aldilà dell’emergenza covid19. Nel resto d’Europa ci sono contratti per artisti con Partita IVA, garanzie di welfare diverse che in Italia: quando mi capita di fare produzioni in Germania, ad esempio, il compenso è suddiviso tra prove e performance; a queste si sommano, poi, le retribuzioni per il viaggio e per alloggio.
Questo sarebbe molto utile accadesse anche in Italia. Nel nostro mestiere sappiamo bene che se ci viene un raffreddore prima della “prima”, noi liberi professionisti non riceviamo nulla. Lo spettacolo salta e magari abbiamo lavorato 30-40 giorni per prepararlo, senza essere remunerati.
Ci vorrebbe un welfare che tenesse conto delle cause di forza maggiore, come sottintende la situazione che stiamo vivendo: magari si potrebbe, in futuro, prevedere una sorta di salvaguardia. Potrebbe essere una buona idea. Ho fatto un esempio personale, verificato, vissuto in altri paesi europei: pur variando da teatro a teatro, in generale, all’estero, si nota maggiore attenzione allo stato sociale>>.
La mancanza di lavoro e di una prospettiva spaventa. Nella tua lettera scrivi: <<Non siamo imprudenti, ma abbiamo paura di essere lasciati soli>>. Ti sei confrontato e sfogato con altri colleghi prima di elaborarla? Non hai pensato che potesse essere sottoscritta da tanti, come altre vere e proprie petizioni che sono state lanciate in questi mesi dai più svariati organismi di tutela?
<<L’ho scritta di mio pugno. Ho avvertito la necessità di far sentire anche la mia voce, mettendo per iscritto quello che mi frullava in testa, anche perché lo avevo vissuto sulla mia pelle, sebbene in una fase intermedia, prima del lock-down totale. Il mio intento è quello di progettare una ripartenza parziale.
Ho letto sui social e sui giornali molti commenti sull’argomento, ma non mi sono confrontato direttamente con altri colleghi. Ognuno ha le proprie idee, la propria testa. Ho notato, sempre dai giornali e dalla televisione, che chi fa “fughe in avanti” viene per lo più considerato imprudente, ma nel caso degli artisti credo sia utile e necessario pensarci: non c’è rabbia, non c’è polemica, c’è solo la voglia di far arrivare una voce in più; poi, chi ha l’onere di decidere, trarrà le somme e cercherà la risposta più adeguata alle esigenze di tutti>>.
Hai girato il mondo e, naturalmente, prima ancora l’Italia. Prima che alla Scala di Milano, hai cantato al Teatro Regio di Parma e al Teatro Valli di Reggio Emilia. Era il 2016, le Nozze di Figaro. Che ricordo hai? Eri a casa tua…
<<Mi è piaciuto tanto cantare in Emilia Romagna, perché non mi capita spesso. Parma, poi, è sempre vista con grande ansia da chi fa il mio mestiere; il pubblico è sempre molto esigente., ma in quell’occasione l’ho trovato, ricordo, molto caloroso. E’ vero che ho fatto Mozart e non Verdi, ma è stato molto, moto bello>>.
Hai un repertorio ricchissimo, che spazia da Rossini a Donizzetti, da Verdi a Puccini, poi Mozart, Leoncavallo, Cilea, Cimarosa, Britten… In quale opera vorresti imbatterti un domani, che tu non abbia ancora scelto di affrontare?
<<Ci sono un paio di titoli che mi piacciono molto e che non ho mai avuto modo di interpretare a teatro: uno è il Falstaff di Giuseppe Verdi, nel ruolo del giovane Fenton; l’altro, è il Gianni Schicchi di Puccini, nel ruolo di Renuccio>>.
Ultimi commenti
ah beh adesso il centro verrà sicuramente assaltato... iniziative prive di dignità urbanistica. ma davvero regalando qualche centesimo si crede di risolvere i problemi della
Ossessionato dai soldi… degli altri! Dategliene un po’ anche a lui, si accontenterà delle briciole che cadono dalla tavola!
Certo che il neo.nato comitato pro casa della salute (con annesso centro sociale/briscola) inventato all' ultimo miglio per giustificare che il conad si farà!!!, è