In Appennino trovati i resti di un ittiosauro

Platypterygius

A fine novembre nel territorio del comune di Neviano degli Arduini, in provincia di Parma, sono stati trovati alcuni resti di un ittiosauro del Mesozoico, un rettile marino di 100 milioni di anni fa. L’eccezionale rinvenimento è avvenuto nell’ambito del progetto Inter Amnes (costola del più vasto programma S.f.e.r.a., del quale l’Università di Parma è capofila) durante una campagna di ricerche sul territorio parmense e reggiano dirette da Alessia Morigi, docente di Archeologia classica al Dipartimento delle discipline umanistiche, sociali e delle imprese culturali (Dusic) dell’Università di Parma, coordinate sul campo dagli archeologi Francesco Garbasi e Filippo Fontana (allievi e ora borsisti del Dusic) con il coinvolgimento degli studenti delle discipline di Archeologia classica e Archeologia del paesaggio dell’ateneo emiliano.

Le tappe della scoperta rispondono a una vera e propria “archeologia di comunità”: è arrivata infatti dai cittadini la segnalazione della presenza di anomalie nel terreno durante le arature, e questo ha consentito agli archeologi l’intervento e il riconoscimento tempestivo di dieci grandi vertebre fossili affiorate in un’area compresa nell’attuale territorio comunale di Neviano degli Arduini.

I resti sono stati subito riconosciuti come quelli di un ittiosauro, animale marino preistorico appartenente a un gruppo di rettili estinti dall’era mesozoica. Le dieci vertebre, integre e in buone condizioni, appartenevano presumibilmente alla coda dell’animale. Le prime analisi hanno permesso di stimare la lunghezza dell’ittiosauro tra i 5 e i 7 metri; da un preliminare studio sulla geologia delle rocce nell’area del ritrovamento, i resti potrebbero avere un’età di circa 100 milioni di anni.


Gli ittiosauri erano rettili marini con un corpo affusolato e idrodinamico, simile a quello dei delfini. A differenza di questi ultimi, però, che hanno soltanto le pinne anteriori e la coda orizzontale, gli ittiosauri potevano contare su due paia di pinne pari corrispondenti ai quattro arti tipici dei rettili e una coda disposta verticalmente.

Grazie a reperti eccezionali scoperti nel nord Europa è stato possibile determinare che il loro adattamento alla vita acquatica era così avanzato da rendere possibile la nascita dei piccoli in mare, qualificando dunque gli ittiosauri come ovovivipari. Se si considera che abitarono i mari dal Triassico inferiore fino al Cretacico superiore, l’esemplare parmense potrebbe essere uno degli ultimi appartenenti a questa specie di rettili marini.

Si tratta del primo fossile di vertebrato marino del Mesozoico scoperto in provincia di Parma e tra i più importanti e completi del nord Italia, dove i fossili di rettili marini mesozoici sono rarissimi e restano, per questo, una fonte insostituibile per la ricerca archeologica.

Il reperto è attualmente in fase di studio da parte dei paleontologi coinvolti nel progetto Inter Amnes Simone Cau e Alessandro Freschi, prima allievi e ora collaboratori del Dipartimento di scienze chimiche, della vita e della sostenibilità ambientale dell’Università di Parma. Una volta perfezionato lo studio, i risultati si affiancheranno a quelli raggiunti dai progetti su Parma, Reggio e sul territorio parmense e reggiano, che rappresentano l’asse portante del programma S.f.e.r.a. e che sono in corso ormai da una decina d’anni.

Il progetto Inter Amnes è finanziato dalla Fondazione Cariparma e ha l’obiettivo di individuare, digitalizzare e studiare tutte le emergenze archeologiche delle valli di Enza, Parma e Baganza, rendendole successivamente disponibili alla comunità in termini di ricerca, sviluppo e trasferimento tecnologico all’interno delle linee di azione della Riserva MaB Unesco dell’Appennino Tosco-Emiliano.

La presenza costante dei ricercatori sul territorio ha permesso la scoperta di diverse decine di importanti siti archeologici con il metodo del survey archeologico, cioè della perlustrazione diretta del terreno, che si conferma come il più efficace metodo di lavoro per la sua capacità di apportare oltre il 95% di nuovi dati alla ricerca e di studiare territori molto estesi nella loro stratificazione insediativa, ben oltre la prospettiva assai più ristretta offerta dallo scavo archeologico.