Il ronzio consapevole della zanzara

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Qualche giorno fa ho partecipato ad una delle tante catene di Sant’Antonio su un social. Ho ricevuto diverse critiche, ad esempio c’è chi mi ha scritto: “Ma hai proprio bisogno di ciò?”.

Avevo chiesto a chi avrebbe letto il mio messaggio di lasciare un commento su dove mi aveva incontrato o qualche altro ricordo di me: ero sicuro che più di qualche lettore avrebbe partecipato a tale iniziativa.
Effettivamente ho bisogno ogni giorno, fin da quando sono nato, di ricevere un rimando su come gli altri mi vedono o cosa pensano di me; anche l’eremita nella grotta più nascosta, attraverso le sue pratiche d’ascesi, ricerca l’immagine di sé.

Fin dalla nostra nascita i genitori, con le loro parole ed i loro gesti, ci plasmano e ci rimandano l’immagine di come siamo. Poi cresciamo e decidiamo di specchiarci altrove, ma portando dentro di noi le immagini che ci hanno descritto: siamo un ricettacolo d’immagini di ciò che ci è accaduto ed abbiamo vissuto, direttamente o indirettamente.

C’è un principio unificatore che raccoglie, che collega tutte queste immagini: ”L’io penso”, l’appercezione trascendentale, secondo Kant. Appercezione significa percezione accompagnata dalla coscienza, più o meno chiara, di percepire, cioè l’accorgersi di percepire. Trascendentale invece significa ciò che rende possibile la conoscenza, ma che va oltre quest’ultima, ossia le condizioni che rendono possibile la conoscenza.

Fin da quando ho iniziato a farmi interrogativi filosofici, cioè fin da bambino, mi sono interrogato su dove stesse questo “Io penso”. Poi, alle superiori, ho incontrato la filosofia ed ho trovato alcune risposte, come quella di Kant riportata poc’anzi, ma non mi soddisfacevano… Non mi soddisfaceva quest’idea di un Io che sta a priori come un recipiente di immagini. Mi sono subito chiesto: ma di cosa è fatto il recipiente di immagini? E’ fatto forse di altre immagini? E le immagini sono forse fatte di altre immagini? Così all’infinito?
Quando incontrai la filosofia buddhista queste domande iniziarono a prendere ordine, allo stesso tempo però la sicurezza di un Io stabile ed individuabile iniziò a vacillare.

Per il buddhismo tutto è in relazione, tutto è interdipendente. Tutto ciò che c’è è collegato. Ovviamente c’è una differenza fra capire tale concetto ed esperire l’interdipendenza dei fenomeni. É raro riuscire ad esperire che noi non siamo solo una goccia dell’oceano, ma siamo anche l’oceano dentro una goccia. Però ogni tanto accade di far esperienza che tutto ha un ordine, che va bene ciò che c’è per così com’è. L’accettare ogni immagine dello scorrere del film della nostra vita è il percorso che ci conduce in quella direzione e questo è un regalo che ci può dare solo la Vita, l’Oceano, Dio, il grande Spirito, l’Universo, la Mente del Buddha o come desideriamo chiamare ciò che riteniamo più grande di noi.
Se l’io non è un recipiente senza porte né finestre, ma al contrario è in relazione, ogni immagine ci riguarda e ci appartiene, comprese le foreste dell’Amazzonia che vengono estirpate, il mare di plastica che addobba le acque del nostro mondo, passando anche per l’umanità che soffre per guerre o sfruttamenti di vario genere o che cerca la salvezza viaggiando su bagnarole nel mare o camminando sotto il sole cocente nel deserto. Tutto questo teatro è rappresentato dai nostri corpi, che solo apparentemente sembrano sciolti da tutto il resto.

Cosa possiamo fare? Il primo passo è portare la consapevolezza che queste immagini ci appartengono, ci compongono e abbiamo tutti il potere di pacificarle dentro di noi. Il solo pensare che siamo tutti responsabili di ciò che c’è potrebbe essere l’inizio di un mondo nuovo. Si potrebbe pensare che siamo piccoli nei confronti di tutte queste immagini… Ma proviamo a pensare all’effetto che può fare una minuscola zanzara in una notte d’estate… Possiamo divenire il ronzio consapevole per tutto il resto dell’umanità che pensa solo al proprio Io.