Reggio. Il fratello: in casa fatte riunioni per far del male a Saman

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In aula di Corte di assise del tribunale di Reggio Emilia nuova udienza del processo per l’omicidio di Saman Abbas, la ragazza pachistana uccisa la notte tra il 30 aprile e il primo maggio 2021 per essersi opposta a un matrimonio combinato.

Si riparte dal difensore di Nomanulhaq, uno dei due cugini imputati, che mostra al fratello della vittima i selfie che sarebbero stati scattati con lo zio Danish, da lui accusato di aver ‘preso per il collo’ Saman per poi portarla nelle serre, all’indomani della partenza dei genitori per il Pakistan, il 2 maggio 2021.

Il fratello di Saman risponde alle domande degli avvocati e ripercorre i giorni successivi alla fuga del padre e della madre, come riporta l’Adnkronos.

”Ho mangiato con zio e i miei cugini, zio mi ha detto di prendere i vestiti, ha chiamato i miei genitori in Pakistan e ha detto loro che dovevamo scappare perché avevano preso i nostri telefoni. Ma papà gli ha detto che dovevamo stare lì e zio gli ha risposto che lui era in Pakistan e non aveva problemi, ma a noi in Italia ci avrebbero potuto prendere”.

“Io volevo rimanere qui in Italia, mio zio ha detto che avrei trovato nuovi amici altrove. Quella sera abbiamo preparato le nostre cose e il giorno dopo abbiamo preso le bici. Da Novellara, casa di zio, abbiamo evitato il percorso con le telecamere, abbiamo pedalato fino a Gonzaga da doveva abbiamo preso il treno per Modena e poi Como, dove abbiamo passato la notte in casa di un conoscente. Da lì l’indomani siamo partiti per Imperia”.

E ancora: ”Lì sono stato accompagnato in questura, ci hanno controllato i documenti. Io e mio zio non ne avevamo, i miei cugini li avevano nelle scarpe, mio zio mi disse di dare un nome falso come aveva fatto lui. Un poliziotto mi disse che non somigliavo a zio e che non poteva lasciarmi andare con lui. Ma io non volevo andare in comunità, gli dissi che se mi avesse mandato lì da solo mi sarei ammazzato”.

“Lo stesso poliziotto mi mostrò la pistola e mi disse ‘fai come ti pare’ – continua il fratello di Saman – Ero scioccato. Sono finito in comunità, lui ha proseguito la fuga. Ho tentato di scappare dalla comunità. Un pakistano a Lucinasco mi ha aiutato a scappare con altra gente con le lenzuola, mio zio mi diceva che dovevo andare via, così pure mia madre. Mi dicevano che dovevo scappare, andare in Francia”.

‘In casa venivano fatte riunioni per far del male a Saman, non solo quando scappò in Belgio, ma anche quando era in comunità”, ha detto il fratello.

”Irfan (un altro cugino del ragazzo la cui posizione è stata poi archiviata, ndr) guardava sempre male Saman – ha aggiunto il ragazzo in aula – e con l’altro fratello di mio padre dava consigli brutti ai miei genitori, invitandoli a fare del male a mia sorella. Ha detto che lui l’avrebbe uccisa”.

“Sono cresciuto in quella cultura, da piccolo mi hanno insegnato che nemmeno potevo fare amicizia con le ragazze perché era vietato, per questo mandai ai miei parenti la foto del bacio tra Saman e Saqib, perché per me in quel momento era una cosa sbagliata. Per come sono ora, da quando sono in comunità, è tutto cambiato. Oggi mi sento italiano. Per me hanno fatto una cosa sbagliatissima”.