Il complottismo che sta dietro al virus

Don Giuseppe Dossetti

Mi meraviglia, ma non troppo, la diffusione del “complottismo”, di quell’atteggiamento che vede, dietro al virus e al vaccino, il complotto di non meglio identificati poteri occulti. In ogni tempo, di fronte a una crisi, parte la caccia al colpevole. In realtà, si tratta della forma estrema di un atteggiamento spirituale profondo, che cerca l’origine del male fuori di noi. Intendiamoci: il male esiste e purtroppo non mancano coloro che se ne fanno strumento. Il guaio è, però, che quello che vale per gli altri non vale per noi stessi: noi partiamo dal presupposto di essere innocenti e “puri”, così che dobbiamo difenderci dagli inquinamenti che vengono dall’esterno.

Gesù è durissimo verso questo atteggiamento, che egli qualifica di ipocrisia, cioè la volontà di apparire, di indossare una maschera. L’accusa è rivolta agli uomini “religiosi” del suo tempo, ai farisei, ed è molto interessante indagare sul rapporto tra l’intransigenza religiosa e la violenza. Lo farà Saulo, divenuto Paolo, da persecutore apostolo: “Io prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento” (1Tim 1,13). Già: anche bestemmiatore, perché egli era giunto al punto di giustificare, in nome di Dio, l’omicidio, dando così di Dio un’immagine falsa, tale da suscitare orrore e rifiuto, a fronte della rivelazione di Gesù, che ci mostra Dio come Padre. Gli avvenimenti di questi anni e di questi giorni ci mostrano come sia possibile e attuale l’uso degenerato della religione. Dire che la colpa è della religione è ancora una volta ricadere nel solito meccanismo, che rifiuta la nostra responsabilità. San Paolo lo dice nella lettera ai Romani (cap. 7): la religione è buona, sono io che sono cattivo e ne faccio un uso pervertito.

Gesù ci chiede di essere onesti con noi stessi: “Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro … Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo” (Mc 7,15.21-23).

Penso che queste parole siano tra le più rivoluzionarie pronunziate da Gesù. Non si dica che sono troppo pessimiste, giudichiamole dai loro effetti. Proprio da questo principio può nascere una fraternità universale, poiché ci dovrebbe passare la voglia di giudicare e condannare gli altri, visto che soffriamo dello stesso male, anche se in forme diverse.

Conosco un poco me stesso e capisco che questo germe di violenza è presente anche in me. Riesco a guardare dentro me stesso, proprio perché conosco il medico che mi può guarire. In un testo mirabile, sant’Agostino dà questo consiglio a colui che vuole aiutare l’uomo a guarire dal male che è in lui: “Fallo entrare in se stesso e svelagli ciò che sta nascosto nelle pieghe del suo cuore. Mostragli il suo male e il medico che deve curarlo”.

Ho avuto il dono di conoscere il medico. Il mio, è quello che è stato crocifisso alla porta di Gerusalemme e che ogni giorno mi dice: “Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue per te”. “Per te”, vuol dire sia “per tua responsabilità”, sia “per amor tuo”.

Sento una profonda fraternità con coloro che giungono al medesimo fine, anche se per vie apparentemente diverse.

Amo molto il romanzo di Albert Camus, La Peste. Uno dei personaggi è Tarrou, un ex rivoluzionario, che ha pensato di cambiare il mondo con la violenza, finendo per riconoscersi complice del male che voleva eliminare. Così, dice, “ho deciso di mettermi dalla parte delle vittime, in ogni occasione, per limitare il male. In mezzo a loro, posso almeno cercare come si giunga alla pace”. Terminando, Tarrou faceva oscillare una gamba, sì che il piede batteva piano contro la terrazza. Dopo un silenzio, il dottor Rieux, sollevandosi un poco, domandò se Tarrou avesse una idea della strada da prendere per arrivare alla pace. “Sì, la compassione”.