Quell’abbraccio tra il repubblicano Montasini e il socialista Prampolini

MONTASINI E CAMPIOLI

La Libertà, il giornale della Concentrazione antifascista in Francia, il 30 luglio 1931, dedicò una intera pagina al ricordo di Camillo Prampolini, intitolato “Ricordi e promessa d’azione nel nome di Camillo Prampolini. Oltre a un articolo della redazione, vi scrissero Luigi Campolonghi, giornalista e presidente della L.I.D.U. (Lega italiana dei diritti dell’uomo), il repubblicano reggiano e segretario della Concentrazione Antifascista di Nizza Pietro Montasini (nella foto dell’archivio della biblioteca Panizzi con Campioli a Parigi) e il socialista Pietro Magnani.

Particolarmente interessante appare la testimonianza di Montasini, che ebbe modo di conoscerlo e conversare con lui nei giorni dell’assalto fascista alle realizzazioni del socialismo reggiano (comuni, sindacato, redazione de La Giustizia, cooperative, sezioni di partito) e dei primi morti nelle piazze.

Pietro Montasini nacque a Reggio Emilia nel 1901, e ancora giovanissimo aderì al PRI. Impiegato presso la Banca Commerciale, alternò il lavoro all’attività politica e sindacale. Esponente della sinistra repubblicana, divenne corrispondente de La Voce Repubblicana. Il primo giugno 1919 fece uscire il giornale La Protesta, con sottotitolo “Popoli in piedi”, inneggiante, proprio il giorno della festa dello Statuto, alla Repubblica, invitando a tenere comizi di lotta, così come indicato da L’Italia del popolo di Milano. Vittima di tre aggressioni, nel 1921, nel 1924 e nel 1925, nel 1924 fu uno dei promotori del rifugio Cesare Battisti e socio fondatore dell’UOEI (Unione Operai Escursionisti Italiani).

Nel 1925, quando ormai tutta la stampa d’opposizione fu costretta al silenzio, compose e diffuse il foglio Risorgimento, nel quale dichiarò il proposito di voler lottare per la libertà della Nazione. Nel 1926, ancora perseguitato e continuamente minacciato, decise d’emigrare in Francia, prendendo contatto con molti esuli antifascisti italiani. Aderì alla “Concentrazione antifascista”, collaborò assiduamente al suo giornale La Libertà, si batté per spostare sempre più a sinistra il programma politico del PRI.

Quando nel 1933 il PCI lanciò un appello agli operai socialisti e repubblicani per creare un fronte unico su una piattaforma “minimale”, Montasini rispose con convinzione all’appello.

Nel 1934, ormai sostanzialmente comunista, raggiunse Mosca per offrire il suo contributo alla causa socialista. Nonostante la repressione staliniana seguita all’assassinio di Kirov, Montasini continuò a scrivere lettere agli amici rimasti in Francia e allo stesso Pertini, allora in carcere, nelle quali assicurò di stare bene e di essere contento della permanenza in URSS. Nel 1935 tuttavia, stando alla versione ufficiale delle autorità sovietiche, le sue condizioni di salute si aggravarono improvvisamente, fino a portarlo alla morte. Nulla di più si è mai potuto apprendere, nemmeno il luogo di sepoltura. Ogni altra ipotesi circa le cause della sua morte restano pertanto aperte e legittime, compresa quella che lo vide, come tanti altri italiani, vittima dell’ennesima purga.

Nel suo intervento su La Libertà affidò il suo omaggio all’Apostolo del socialismo reggiano socializzando due suoi ricordi indelebili, che, più di altri, caratterizzarono il loro rapporto. Il primo risaliva all’otto aprile 1921, quando Montasini accorse alla redazione de La Giustizia in via Gazzata per offrire il suo aiuto e la sua solidarietà agli amici socialisti per l’assalto fascista subito.

Quello che vide lasciò un segno indelebile nel suo animo e nella sua memoria. La tipografia e gli uffici della redazione erano stati completamente distrutti, la raccolta del giornale e altri documenti dati alle fiamme. Tra quelle macerie intravvide un piccolo, gracile uomo solo, affranto e demoralizzato, seduto fra quel che restava della tipografia e degli arredi. I due, pur sapendo uno dell’altro, non si erano mai incontrati in precedenza e l’emozione, specie quella di Montasini salì alle stelle.

Quando si salutarono e Pietro gli disse d’essere accorso per offrire il suo aiuto dinnanzi a tanta barbarie, Prampolini gli rispose “Se noi socialisti e voi repubblicani fossimo riusciti a stare uniti, forse tutto questo non sarebbe successo”. Poi i due si salutarono abbracciandosi, promettendosi di lottare per l’unità del proletariato. Dopo pochi giorni, grazie all’aiuto di molti compagni, La Giustizia risorse e continuò la sua missione politica ed educativa.

Il secondo ricordo riguardò il loro secondo e ultimo incontro avvenuto a Milano nel 1926, alla vigilia dell’esilio in Francia di Montasini. Camillo, che da qualche tempo aveva abbandonato Reggio, si manteneva, senza mai lamentarsi, con piccoli lavoretti nel negozio dell’amico e compagno Nino Mazzoni, incontrando talvolta i compagni di passaggio nel capoluogo lombardo. Dopo aver amichevolmente discusso della situazione politica, al momento dei saluti Prampolini si abbandonò ad una espressione politica e sentimentale che turbò nel profondo il giovane Pietro. Guardandolo negli occhi con severità e rassegnazione, Prampolini, consapevole della sua tarda età e della gravità della situazione politica italiana, disse: “Te ne vai anche tu. Se ne vanno tutti. Forse un giorno vi riunirete”.

Appresa la notizia del suo decesso, i compagni reggiani commissionarono la riproduzione del suo ritratto al fotografo Vaiani. La questura però dispose l’immediata chiusura pro tempore del negozio. Evidentemente le autorità e i fascisti locali si convinsero, a torto, che dovesse calare su di lui la condanna dell’oblio.




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