Fiamme gialle sequestrano 30mila mascherine i un’azienda del reggiano

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Le Fiamme Gialle del Comando Provinciale di Reggio Emilia, nell’ambito dei servizi predisposti al fine di contrastare le pratiche commerciali scorrette connesse all’emergenza sanitaria in atto, hanno eseguito un ingente sequestro di mascherine risultate prive dei prescritti requisiti di sicurezza.

Le mascherine, prodotte in Italia, sono state rinvenute all’interno di un’azienda operante nel settore dei servizi, con attività comunque consentita, che alla fine del mese di marzo, in piena emergenza Covid-19, aveva deciso di integrare il proprio business nel comparto manifatturiero, per la realizzazione di indumenti da lavoro, comunicando alla locale Camera di Commercio lo svolgimento della nuova attività, con relativo codice Ateco.

Analizzando i documenti di acquisto e di vendita, i finanzieri hanno scoperto che l’impresa aveva già avviato lo scorso 21 aprile la commercializzazione all’ingrosso dei prodotti in questione, con la cessione di oltre 17 mila mascherine ad imprese clienti con sede, non solo in Emilia Romagna e, in particolare, nelle province di Bologna e Ferrara, ma anche fuori regione, a Cuneo.

All’atto dell’accesso presso i locali aziendali, i militari del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria della Guardia di Finanza si sono trovati di fronte a un magazzino di 30 mila mascherine (per un valore di circa 32 mila euro), pronte per essere immesse fraudolentemente sul mercato, anche attraverso la vendita online, non già come “mascherine generiche”, bensì come presunti D.P.I., ossia dispositivi di protezione individuale.

La differenza tra le due categorie di mascherine facciali è a dir poco netta, in termini di livello di protezione assicurato al soggetto che le indossa. Infatti, per le mascherine classificate come D.P.I., il Regolamento comunitario
n.2016/425/UE stabilisce inderogabili procedure e requisiti essenziali di salute e di sicurezza, trattandosi di dispositivi di protezione delle vie respiratorie (c.d. salvavita), destinati prevalentemente al personale sanitario che entra in contatto con pazienti infetti.

Al contrario, per le cosiddette mascherine generiche – che possono essere liberamente prodotte ai sensi dell’art.16, comma 2, del decreto legge 18/2020 – deve essere indicato sul relativo imballaggio che non si tratta di un dispositivo medico né di un D.P.I.: le stesse devono essere accompagnate, inoltre, da un’avvertenza che indichi chiaramente che non garantiscono in alcun modo la protezione delle vie respiratorie di chi le indossa, avendo soltanto una funzione igienico-ambientale quando, ad esempio, sia comunque ritenuta utile la copertura di naso e bocca.

Nel caso scoperto dai finanzieri, la società ha invece avviato la commercializzazione delle mascherine in parola, riportando sulla relativa confezione l’abusiva indicazione di D.P.I. e omettendo di interessare l’INAIL per ottenere, eventualmente, la validazione straordinaria di tali prodotti, secondo la specifica procedura dell’art. 15, comma 3, del D.L. n.18/2020: l’INAIL avrebbe così potuto verificare la rispondenza dei dispositivi in questione alle norme vigenti, prima dell’immissione in commercio.