Ecco “Dog Eat Dog” di Pino Scotto

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“Dog Eat Dog” è il nome del suo ultimo disco.

Uscito in piena quarantena, arriva a 2 anni di distanza dal suo ultimo lavoro e raccoglie 12 tracce di puro rock’n’roll, inclusa la cover di “Don’t Be Looking Back”, storico brano dei Vanadium.

E’ Pino Scotto, che tra riff e assoli di chitarra – carismatico e grintoso singer dalle marcate influenze blues – vuole far riflettere l’ascoltatore sulla società di oggi,

<<basata per lo più sull’apparenza e sull’egoismo>>.

Uno sperimentatore rivoluzionario, folle (nel buono solo e unico senso che esista) e assolutamente anticonvenzionale, a cui non sono mai piaciute le vie di mezzo e che volevamo ci dicesse in prima persona qual è la sua schietta visione dell’attualità. Così, gli abbiamo telefonato.

Pino, interpretiamo prima di tutto il titolo…

<<“Cane mangia cane” è un detto vecchissimo. Di album che hanno adottato questo titolo, “Dog Eat Dog”, ne sono usciti probabilmente tantissimi; forse il primo è del 1970 di Joni Mitchell, ma hanno fatto un singolo chiamato così anche gli AC/DC e chissà ancora quanti hanno cantato su questo tema. Parlo delle piccole battaglie sociali che ogni giorno scoppiano inutilmente.

“Dog Eat Dog” serve a descrivere la guerra dei poveri, quello che ho visto dall’alto dei miei settantanni, in una vita passata on the road: sono scappato da casa in nome della musica a diciassette anni; ho vissuto per la musica con grande passione. Sono stato un operaio in fabbrica e conosco il lavoro vero, quello fisico. Nel mio percorso di vita ho sempre visto una degradazione dei valori da parte degli esseri umani e nei miei testi ho sempre cercato di descrivere quel mondo, quello che mi circondava; il sacrificio del popolo, su cui è impostato il potere che lo ha sempre usato, che ha sempre sfruttato l’anafalbetismo funzionale per trattarci come burattini, fregandonese di quello che fosse il pensiero comune. Anzi, direi che siamo andati peggiorando, se penso ad oggi. Ho cantato anche d’amore e di rock’n’roll, ma un buon 80% di quello che ho scritto è sempre stato su questo, quello che sentivo attorno>>.

Il disco è stato anticipato da un invito a godersi la vita al massimo, senza perdere tempo. Il singolo “Don’t Waste Your Time”, oggi più che mai attuale.
I

n questo brano ti sei chiesto: <<cosa succederebbe se Dio scatenasse la sua rabbia e all’umanità non restasse più molto tempo per vivere?>>.

Vogliamo parlare della tua parvenza di veggenza?

<<Effettivamente! Pur avendo scritto il pezzo sette mesi prima, ho pensato la stessa cosa quando si è scatenata la pandemia. Si capisce come sia nato il brano dal video: una situazione assurda, ma reale. Avevo influenza che non passava e un mio amico Dottore mi ha mandato a fare una radiografia. Quando sono andato a ritirare l’esito, era evidente la presenza di masse tumorali sui polmoni e, per famigliarità – nonno e papà morti per questo – oltre che da ex fumatore incallito, ho incassato il colpo. Arrivato a casa ho provato a leggere il CD della radiografia ma non andava, nessuno riusciva ad aprire il file, così mi hanno rimandato ad una TAC e ad una nuova radiografia. Non c’era nulla, si erano sbagliati, ma inevitabilmente io ero cambiato.
Non ho mai perso tempo nella vita, l’ho sempre vissuta alla velocità della luce; ma quell’avvenimento mi ha fatto riflettere parecchio. Chissà perché, tutti quanti, abbiamo bisogno di queste cose per arrivare a riflettere. Spero quindi che dopo questo periodo di grande cambiamento sociale, la gente acquisti più semplicità e viri verso l’apprezzamento per le cose semplici della vita, ma non ci credo, perché siamo un popolo senza memoria – come dice il mio buon vecchio amico Guccini – e continuiamo a fare gli stessi sbagli di sempre.>> youtu.be/gjyaC1EkR3s

Nell’album, come dicevi, c’è quel famoso 20% di “altro” rappresentato da alcuni brani più personali, come “Same Old Story”, dedicata alle storie d’amore di una vita, o “One World One Life”, dedicata a tuo figlio…

<<Sì, “One World One Life” è il testo d’amore per eccellenza, dedicato a Brian. Qui descrivo quello che è successo me, ma che credo succeda a tutti gli uomini che si apprestano a diventare padri; quello che comporta nella vita di ognuno di noi la nascita di un figlio. Poi c’è, anche se non l’hai citata, “Before it’s time to go”, che è un atto di redenzione, in cui cerco di assovere me stesso dai miei stessi peccatti; da un mondo di eccessi, anche se sono ripulito da qualche anno, soprattutto dopo la morte di Eddie dei Motorhead, che mi ha straziato. Nonostante tutto, canto come quello che ha sempre il bicchiere mezzo pieno, tante strade da percorrere e tante cose ancora da vedere>>.

Hai qualche pentimento, o rifaresti tutto uguale?

<<No, non mi pento di niente, anche perché se ho fatto del “male” l’ho fatto solo a me stesso; però, credimi, mi sono divertito moltissimo. Che poi, penso siano addirittura gli sbagli a farti crescere e ad insegnarti a vivere>>.

Ti dipingono come la migliore incarnazione della figura del rocker mai apparsa in Italia. Seguono un “wow” e una “hola” da stadio: come ci si sente?

<<Ah Ah, questo sicuramente è una cosa che mi fa molto piacere, fa piacere alla mia parte “pura”, all’essere umano più che al musicista. Io penso di essere sempre stato schietto, onesto; ho sempre aiutato gli altri pur prendendo in cambio calci. Continuo a credere nell’amicizia, nell’amore, nella passione; a credere che se la razza umana riuscisse ad apprrezare questi valori, anziché ad inseguire quelli che ci fanno vedere in TV, si potrebbe ritornare ad una vita più semplice, in cui ci si aiuta tutti.
Io sono napoletano di origine e quando andavo in Campania da mio nonno, mi ripeteva sempre uno dei versi di ‘A Livella di Totò, che parafrasando si chiede se “sta gente di merda sa che deve morire”. Perché una gran parte della razza umana vive di egoismo, di bastardaggine. Pensiamo solo ai nostri politici: abbiamo un Parlamento più grande del nostro Paese; chiunque si sveglia e fa un partito; condannati che hanno l’immunità parlamentare, che non toccare. Poi, un popolo che invece di preoccuparsi di questo, pensa solo alle partite di calcio. Ma come facciamo a meritare più dignità? Tutta la politica del passato cià ha portato qui dove siamo adesso: stiamo solo raccogliendo il frutto di quanto fatto negli anni passati. Probabilmente, dobbiamo mantenere l’urgenza d’essere il Paese più ignorante d’Europa>>.

Abbiamo parlato in apertura della cover dei Vanadium contenuta nell’album, senza però dire (scontato, ma va ribadito) che nei sei stato il frontman. Parliamo della heavy rock band più importante della scena italiana, con cui hai realizzato sette grandi album. Apriamo una breccia nel passato?

<<Sembra assurdo dirlo oggi, ma eravamo una band che cantava in inglese; vicina ai Led Zeppelin, ai Deep Purple, insomma, facevamo quella roba li; vendevamo 50mila copie e già allora quando ci proponevano di andare ai Festival, o di mettere donne sculettanti nei video – devo dire che ho sempre litigato anche con la band – mi rifiutavo. Se uno vuole tette e culi, che vada YouPorn.
Vedi, questa cosa non fa bene al business, ma grazie al cielo, i miei 35 anni di fabbrica alle spalle, mi hanno permesso di mantenere quella dignità artistica. Sono 14 anni che sono in pensione da operaio e quello stipendio mi ha concesso di sopravvivere e fare musica in piena libertà.
Con i Vanadium abbiamo fatto un sacco di cose belle: appena uscito il primo album, ci è capitato di fare 13 date in Europa con Alvin Lee, uno dei leggendari chitarristi dei Ten Years After, quelli che hanno infiammato Woodstock con “I’m going home”>>.

Nella tua interminabile carriera, sono talmente tante tante le cose che hai fatto e le collaborazioni importanti che hai avuto, che mi diventa difficile riassumerle in poche righe, ma – in ordine sparso – quali sono le tre che ti stanno particolarmente a cuore?

<<Mi son messo a cantare in italiano e son tornato al blues, ho cercato di contaminare il rap con il metal, J-Ax con Caparezza. Nel momento di popolarità dei Vanadium abbiamo fatto date con i Twisted Sister e con i Motorhead con cui mi son sempre trovato benissimo e ho fatto date anche da solista. Ho sempre rispettato Lemmy, per me era come un fratello. Poi, Ronnie James Dio ai tempi dei Black Sabbath: per me era un idolo. Me lo sono ritrovato sottopalco, con in mano una mia cartolina e che voleva un autografo! Roba pazzesca, un gesto di un’umiltà incredibile; si è sempre ricordato tutto di tutti.
Come anche Chuck Billy dei Testament. Sempre semplici e modeste; tutte persone rimaste nel cuore e che tutte le volte che ho la possibilità di andare a sentire dal vivo non vedo l’ora di andare a salutare nel backstage. Una gran gioia>>.

Cosa non saresti mai disposto ad accettare, ancora oggi?

<<Uh, tante cose non ho mai accettato e non accetterò mai. La butto lì, fare il giudice in un reality: lo avrei anche fatto, perché me lo hanno proposto, ma avrei accettato di farlo solo se non ci fossero state cover. Sembriamo un Paese da karaoke, io volevo puntare invece sul talento vero, ma mi hanno detto che non avrebbe venduto>>.

Però Pino, dì la verità, non avresti mai pensato di promuovere un disco in quarantena: come la stai vivendo?

<<In galera, ma pensiamo a queli che stanno male veramente. Siamo fiduciosi, pensiamo positivo. Dobbiamo>>.