Editoriale. Contro il premierato

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Credo che la storia del Novecento, e non solo quella, abbia dimostrato che gli italiani non sono portati all’uomo o alla donna soli al comando. Siamo uno Stato giovane rispetto alla grande storia europea, le nostre tradizioni repubblicane e democratiche non sono ancora profondamente consolidate nella genetica sociale di cui facciamo parte. La monarchia ha accompagnato l’avvento del fascismo, un secolo fa, e Mussolini ha spadroneggiato per vent’anni con il consenso di larghissima parte degli italiani.

Anche per questo sono contrario alla riforma costituzionale che preveda l’elezione diretta del capo del governo, la cui entrata in vigore ridurrebbe evidentemente il ruolo del presidente della Repubblica a una funzione di fatto meramente rappresentativa e consegnerebbe a una sola persona un potere enorme con potenziali pericolose conseguenze.

Così come non apprezzo l’ipotesi di assicurare un terzo mandato ai presidenti di regione e ai sindaci. È profondamente sbagliato delegare a una singola persona la permanenza al potere per un periodo superiore ai dieci anni. Per garantire l’essenza della stessa democrazia occorre il ricambio, quali che siano i giudizi dell’operato del singolo. Il potere logora chi ce l’ha, contraddicendo il celebre motto di Andreotti, e soprattutto logora il principio necessario dell’alternanza, migliore antidoto alle inevitabili conseguenze derivanti da un’eccessiva occupazione dello stesso incarico per troppo tempo. Basti guardare agli Stati Uniti d’America, dove il mandato presidenziale dura quattro anni e può essere rinnovato una sola volta.
Non capita spesso, ma in questo caso gli Usa ci insegnano qualcosa di importante in tema di democrazia.
In sintesi: si respira un’aria abbastanza delirante tra personaggi di spessore nazionale e locale i quali, ubriacati dalla profonda crisi dei partiti, si autoconvincono della propria assoluta indispensabilità personale alla guida di qualsiasi istituzione.

Con l’abuso dei social media i politici si pensano influencer, rockstar, campioni dello sport o comunque appartenenti a una categoria superiore di esseri umani. E la politica, quella vera, quella che affronta i problemi complessi, che non si limita agli slogan o ai post su Instagram? Roba ostica, fastidiosa, in un mondo che corre sempre più veloce e che accelera i messaggi vocali perché ha fretta. Di andar dove, poi, non si sa, se non nel proprio vuoto narcisismo.




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