Dopo mezzo milione di stream su Spotify volano anche in video gli “Aeroplani” modenesi del rapper MH

MH

Ha totalizzato mezzo milione di stream su Spotify ed è l’ultimo singolo del rapper MH: “Aeroplani”. All’anagrafe Matteo Fiorini, modenese, MH comincia a scrivere barre a 17 anni. Nel 2019 compare nell’EP “Meltin Pot” dell’amico e produttore Hotsteppa, ma di fatto esplode con “Aeroplani”, il brano più introspettivo che il rapper abbia mai scritto ad oggi: la via d’uscita da una storia d’amore intensa ma adolescenziale, che l’ha portato a provare emozioni molto forti e contrastanti tra loro.

In questo periodo gli aeroplani sono un po’ come le stelle cadenti: con il naso all’insù, si cercano eccome, e se li si incontra con lo sguardo, si sogna facilmente di essere sul prossimo e di andare lontano. Di cuore. D’impulso, come tu hai scritto questo pezzo…

È il pezzo più intimo e delicato che io abbia mai scritto. Nasce di getto dalla necessità di esternare e metabolizzare una grande delusione amorosa, con protagonista una ragazza che è stata parte della mia vita, con la quale sono cresciuto e che conosco fin da quando avevo 13 anni. Non una storia d’amore qualunque, ma la prima, la più importante; quei fuochi che crescono in fretta a quell’età, si consolidano velocemente, ma che non possono durante un’intera vita. È inevitabile, crescendo, ci si fa male a vicenda.

Scrivere e riascoltare il pezzo, però, mi ha permesso di uscire da una situazione complicata, piena di ansie, dubbi e rassegnazione. In questo singolo ho messo tutto me stesso, mi sono messo in gioco e ne sono uscito vincitore, come artista e come persona. E pensare che non volevo nemmeno farla uscire, perché credevo fosse troppo personale: mi hanno spinto gli amici e ora, a distanza di un anno e con l’uscita anche del video, devo dire che avevano ragione. Sono felice di averlo fatto. Ormai è metabolizzata e siamo tornati ad essere persino in buoni rapporti.

Anche nel videoclip hai deciso di raccontare questa storia d’amore, per così dire “acerba”, in maniera semplice, immediata, quasi didascalica. Ed una scelta precisa. Perché il bianco e nero?

Il video rappresenta il contenuto del brano nella maniera più genuina e semplice possibile. È esattamente la storia di due ragazzi alle prese con una relazione adolescenziale, che brucia così intensamente quanto velocemente, da trasportare i protagonisti dall’amore all’odio. Pochi elementi, semplici sguardi e gesti. Sullo sfondo i palazzi del centro di Modena.

Il bianco e nero è stata una scelta stilistica successiva. Fotonico, che è il mio videomaker e collaboratore, ha girato a colori, poi ha fatto una prova sul montato e ci siamo accorti che era anche meglio. Mi fido di lui, è un grande artista – dipinge, fa video, grafiche – e il suo parere stilistico è fondamentale.

Esternare la parte più intima ed emotiva di sé è parte integrante del fare arte, ma è anche sempre molto complesso riuscire a tradurre – soprattutto nel rap – le grandi introspezioni. Il timbro ti aiuta: hai una voce calda, piena, che scivola sul beat in maniera decisamente armonica. Quand’è che hai scoperto che cantare era quello che volevi fare nella vita?

Ho iniziato a scrivere per gioco intorno ai 14-15 anni e, come succede a tutti quelli che lo fanno per svago, per due anni ho scritto e registrato cose per conto mio facendole sentire solo agli amici. Non ricordo esattamente per quale motivo, ma un giorno mi sono deciso a iniziare a pubblicarle: avevo raggiunto un livello accettabile. Molti ragazzi oggi fanno il primo pezzo e lo pubblicano subito, ma non sono pronti; bisogna darsi il tempo di sperimentare, di crescere.

Quando ho iniziato ad avere i primi consensi e ho capito che sarei riuscito a ottenere qualcosa mi sono galvanizzato: riuscivo a fare bene quello che mi faceva stare bene e di cui avevo bisogno. Ho sempre scritto per me stesso; la mia è una necessità, ho un rapporto viscerale con la scrittura e la musica, non l’ho mai fatto per guadagnare. Certo è che quando poi s’inizia a guadagnare è meglio, no? Adesso ho un team che funziona molto bene, sono molto bravi; io sto continuando a migliorare, c’è una maggiore consapevolezza artistica e sento di poter dire la mia anche con i più grandi.

Che tipo sei? Più esuberante e orgoglioso, o introverso e meditabondo?

Entrambe le cose, anche se in questo momento della mia vita sono più introspettivo, ma forse è anche dovuto alla quarantena, che è andata a intensificare questo aspetto di me. Se si ascoltano tutte le mie canzoni, però, oscillo dall’esuberanza all’introspezione. Ci sono aspetti di me che tendo comunque a tenere per me, ma al momento giusto, nel contesto giusto, abbasso le difese e sono amichevole con tutti.

500.000 stream sono tantissimi, il tuo pubblico non vedrà l’ora che tu esca con qualcos’altro. Hai già un progetto preciso per il futuro? Sei un calcolatore o uno che va a sentimento?

Non mi fermo mai di scrivere pezzi da far uscire, ne ho davvero un’infinità. Sono consapevole che non saranno pubblicati tutti, ma ho un progetto per il futuro e sto facendo due dischi in parallelo. Due progetti opposti: uno più rap, più crudo, più street, senza peli sulla lingua; l’altro più sulla falsa riga di “Aeroplani”, più introspettivo. Non mi sbilancio sulla data di uscita perché c’è ancora da fare, ma siamo a buon punto.

Senti, Matteo: dove andresti, potendo, domani? Il tuo aeroplano ideale che meta ha? Qual è il primo posto dove “scapperai” non appena si normalizzerà la situazione?

Andrei ad Atlanta, perché ad Atlanta in questo momento c’è uno dei miei migliori amici, con cui ho lavorato a distanza per tutto il periodo di quarantena e che tornerà in Italia dopo un anno negli Stati Uniti solo il prossimo ottobre. Mi manca abbastanza. Sì, andrei lì.