Lo scorso 23 maggio su Rai Due è andata in onda in prima serata “Aemilia 220 – La mafia sulle rive del Po”, una docufiction con interviste e ricostruzioni per ripercorrere le tappe principali della penetrazione e dell’espansione della ‘ndrangheta in Emilia-Romagna.
Ma il prodotto televisivo, che aveva già sollevato nei giorni scorsi le proteste dei vertici reggiani di Forza Italia, ha scatenato anche la reazione indignata di uno dei diretti interessati, il consigliere provinciale di centrodestra Giuseppe Pagliani, arrestato e processato nell’ambito dell’inchiesta Aemilia ma poi definitivamente assolto: “Quel che emerge di scandaloso dalla visione del docufilm si manifesta negli ultimi 25 minuti di proiezione, laddove, senza alcuna possibilità di confronto e contraddittorio, viene raccontata e tagliata su misura la mia figura, non per ciò che in realtà è accaduto”.
Ovvero, come ha ricordato lo stesso Pagliani, “quattro pronunciamenti assolutori e uno di risarcimento per il grave caso di malagiustizia subìto, ma si crea una trama suggestiva priva di una serie fondamentale di passaggi tutti a mio favore. Non emerge nulla delle tante testimonianze dei politici locali, prima fra tutte quella dell’ex sindaco di Reggio Graziano Delrio, che va nel 2009 a fare campagna elettorale a Cutro, che dice di non sapere chi era Grande Aracri e che accompagna i consiglieri comunali di origine calabrese dal prefetto De Miro per cercare di evitare la diffusione del pregiudizio collettivo nei confronti dell’intera comunità cutrese. Non si dice nulla della presidente della Provincia, mia storica avversaria, che, sentita durante le indagini, affermò che nel mondo politico non c’era la percezione della presenza della criminalità organizzata in provincia di Reggio, così come poi è emersa nell’indagine Aemilia”.
Peraltro, secondo Pagliani, “sono state completamente escluse nella sostanza dei collegamenti agli appalti le cooperative rosse di costruzione, che da sempre hanno dato lavoro ai subappaltanti cutresi, delle quali da sempre ero un forte oppositore. Attribuiscono a me il ruolo di capogruppo del Pdl in Comune a Reggio, quando ai tempi ero il capogruppo dell’opposizione in Provincia, senza avere la possibilità di intervenire su qualsiasi tipo di appalto pubblico, sempre e comunque gestito dalla triade amministrazioni locali, coop rosse e subappaltanti cutresi per 40 anni in tutta la provincia reggiana”.
“Nella ricostruzione distorta e faziosa del coinvolgimento, vengono compiute gravissime omissioni e tagli senza alcun rispetto per la verità, al solo fine di convincere lo spettatore della connivenza del politico di turno, senza mai accennare, se non nei titoli di coda e per pochi istanti, delle mie assoluzioni con formula piena. È gravissimo che, nel raccontare la mia vicenda, non siano state espresse le numerose verità emerse giudizialmente e non si sia subito specificato, durante il docufilm, delle mie assoluzioni e della mia manifesta innocenza”.
In particolare, secondo Pagliani, si sarebbero dovute sottolineare alcune cose: “Non conoscevo Sarcone, né la caratura criminale dello stesso, tanto che la prima volta che qualcuno me ne parla (l’avv. Sarzi) è al telefono due giorni dopo la cena al ristorante Antichi Sapori; quando ho compreso realmente la natura di alcuni personaggi coinvolti, pur non conoscendone la caratura, mi resi irraggiungibile e non feci mai nulla per questi personaggi, tanto che lo stesso Sarcone in un’intercettazione ne ebbe a lamentarsi (intercettazione ovviamente non andata in onda nel docufilm). Alla trasmissione ‘Poke Balle’ (che nel docufilm viene liquidata come “monologo di Pagliani”) attaccai duramente la criminalità e Sarcone e presi una decisa posizione contro la ‘ndrangheta a favore delle interdittive del prefetto. Inoltre non sapevo che in quella trasmissione sarebbe andato in onda un video con il fratello di Sarcone”.
Da ricordare, prosegue Pagliani, “che scelsi il rito abbreviato appositamente per addivenire in tempi rapidi all’accertamento della mia innocenza, inoltre il 12 settembre del 2017 mi dimisi dalla carica di consigliere comunale e provinciale di Reggio per potermi difendere liberamente nel processo senza cercare scappatoia alcuna. Tutte le accuse che la Dda di Bologna ha tentato di qualificare come aiuti esterni alla ‘ndrangheta sono state totalmente respinte e rigettate in ogni grado di giudizio, ed è stato giudizialmente accertato che io non ho mai, in nessuna occasione, favorito l’associazione criminale”.
Per Pagliani “grave è considerare colpevole un semplice indagato, ma è molto più grave rinnovare un processo mediatico per chi è stato più e più volte prosciolto nei vari gradi del giudizio. Sarebbe stato corretto e legittimo, se proprio si voleva citare la mia figura, rispettare la verità e ricordare e sottolineare che sono stato dichiarato innocente e totalmente estraneo all’associazione mafiosa e ho dovuto sopportare sette anni e mezzo di ingiusti processi. Sono offeso e indignato da un uso strumentale, perpetrato negli anni vergognosamente, delle sofferenze e dei patimenti di una persona, di un professionista, della sua famiglia, dei suoi amici, dei suoi collaboratori e di una intera comunità politica (il centrodestra) che è, e rimane, completamente estranea a questa vicenda”.







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