Sono nate in quello che allora era il deserto dei servizi pubblici e, a distanza di mezzo secolo, oggi le cooperative sociali sono 15.000, in Italia, con 450.000 addetti e rappresentano quella che il “pioniere” Felice Scalvini – promotore del primo disegno di legge sulla cooperazione sociale, che trovò riconoscimento 30 anni fa, con la legge 381/91 – rappresentano l’impresa economica più rilevante degli ultimi decenni e, soprattutto, il soggetto che ha inventato il welfare del nostro Paese.
Si è aperto con queste considerazioni il confronto promosso da Confcooperative in occasione della celebrazione del trentennale della legge 381 istitutiva della cooperazione sociale, riconoscendola come soggetto che persegue un interesse comune legato alla promozione umana e all’integrazione sociale delle persone.
Una riflessione che ha coinvolto soprattutto i giovani cooperatori e si è avviata dalle testimonianze, oltre che di Felice Scalvini, storico promotore della cooperazione sociale italiana, di tre pionieri della cooperazione sociale reggiana: Enea Burani (La Collina), Mauro Ponzi (Coress) e Roberto Ruini (Il Villaggio).
Un viaggio nel sistema delle coop sociali che mosse i primi passi a metà degli anni sessanta, in una stagione di estrema povertà dei servizi pubblici: nessun servizio per i tossicodipendenti, nessuno per i disabili, nessuna assistenza domiciliare per gli anziani. Un deserto, in sostanza, in cui si inserì l’autorganizzazione di famiglie, giovani e volontari orientati a perseguire l’interesse di persone e comunità, con un impegno primario rivolto ai più fragili.
Reggio Emilia si collocò subito all’avanguardia di questo movimento di cooperazione sociale comunitaria (“esperienza che ha cambiato e ha arricchito tuttala cooperazione”, ha detto il presidente di Confcooperative, Matteo Caramaschi) e, tuttora, è tra le realtà italiane a più forte presenza di cooperative sociali (un centinaio di esperienze, 67 delle quali aderenti a Confcooperative) che, a livello nazionale, spiccano per gli alti livelli di investimento su servizi che vanno da quelli educativi all’integrazione lavorativa di persone svantaggiate, dalle residenze per anziani ai servizi per i disabili.
Un insieme di esperienze che, come si è detto, venne riconosciuto e abilitato nel 1991 con la legge 381, provvedimento che Felice Scalvini ha definito “un’incompiuta di successo”, con gli elementi di successo riconducibili alla diffusione di questa esperienza, ma con limiti legati al mancato compimento dell’evoluzione del sistema di welfare in senso comunitario, con l’affermarsi di logiche di fornitura e acquisizione di servizi (spesso al minor costo) che connotano la relazione tra pubblico e privato sociale.
Oggi – e lo hanno ricordato i relatori, insieme alla presidenza del settore delle coop sociali di Confcooperative, Patrizia Fantuzzi, e la portavoce del Gruppo giovani della centrale cooperativa, Anna Colombini – la possibilità di costruire un nuovo welfare si riapre su quel principio della sussidiarietà (sancito dalla Costituzione che si è tradotto nel Codice del Terzo Settore che legittima una relazione paritaria con il pubblico per co-programmare e co-progettare il welfare locale, accreditando la cooperazione sociale per un reale partenariato con amministrazioni e servizi pubblici.
“Proprio in questa direzione – ha concluso Patrizia Fantuzzi – la cooperazione sociale è pronta a mettere in campo idee, risorse, competenze e valori che lascino segni profondi nelle comunità in termini di coinvolgimento e servizi”.
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