Il premier Conte irrompe in diretta sui programmi del prime time televisivo e occupa buona parte della serata, devastando palinsesti costruiti con pazienza e intenso lavoro durante la settimana. Chi è live alza il sopracciglio (Fazio) oppure fa buon viso a cattivo gioco (Giletti). RaiUno e Canale 5, ammiraglie del servizio pubblico e della galassia berlusconiana, si adeguano immediatamente e mandano il capo del governo in diretta a reti unificate. Il Conte via Facebook macina 200mila utenti collegati in media durante l’intera conferenza stampa. Risultato notevole.
È tornato il Giuseppi di marzo, quello che era simpatico a Trump? Solo nella manfrina degli annunci che si dipana lungo l’intera serata domenicale, secondo le regole del portavoce ex Grande Fratello Rocco Casalino. Dire manfrina è poco: in questa occupazione televisiva da regime autoritario non c’è niente di buono. Solo manipolazione degli strumenti di comunicazione di massa. Niente di nuovo, tutto già visto.
Il cambiamento invece riguarda il ruolo del premier, decisamente diverso dai tempi del lockdown. Conte parla indossando la mascherina, a volte con lieve affanno, ma soprattutto incarna la parte del presidente morbido, comprensivo e tollerante. A lungo i ministri Franceschini e Speranza avevano tentato di indurlo a una stretta ben più rigida nel nuovo Dpcm. Invece no.
Conte ha detto apertamente che di lockdown non vuole nemmeno sentire parlare. Oggi siamo molto più attrezzati della prima ondata – ha aggiunto – e tra poco saremo inondati di vaccini. E poi c’è la situazione economica, della cui crisi Conte non vuole essere il premier responsabile più di quanto lo sia stato finora.
Così esce questo decreto leggero e anche un po’ ambiguo, specie quando attribuisce ai sindaci la facoltà di introdurre zone cittadine da sottoporre a coprifuoco o comunque a ulteriori restrizioni locali. La confusione resiste fino a lunedì mattina, poi il riferimento ai sindaci, dopo vibrate proteste notturne, miracolosamente sparisce. Resta il dubbio: tocca al governo, alle Regioni o ai Comuni disporre eventuali nuove chiusure?
Il punto è che la linea di Conte si è spostata. Dall’interventismo di primavera all’approccio soft di questo inizio autunno è trascorsa un’estate in cui si è fatto poco. Siamo in ritardo quasi su tutto, dai trasporti alla scuola alla gestione del tempo cosiddetto libero.
Il premier ha tuttavia capito che legare il suo nome a un nuovo lockdown potrebbe essergli fatale. Il paese che lo ha apprezzato nei momenti dell’emergenza potrebbe rinfacciargli l’indolenza nella fase di rilancio che da più parti si sente lamentare. La sensazione è che, in realtà, una linea precisa non esista, che si navighi a vista in un governo ad alto tasso di fibrillazione, sperando che la nottata passi.
Ovvio che i contagi aumenteranno nelle prossime settimane e che, con essi, cresceranno le richieste di maggiore durezza stile De Luca in Campania. Ma stavolta Conte starà dall’altra parte e i risultati non sono garantiti.
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