Con Jervis il “modello Reggio” per un salto in avanti della psichiatria

untitled

A Reggio Emilia, nella seconda metà del ’900, tra gli anni Sessanta e Settanta, prende forma un originale welfare locale che caratterizzerà la città emiliana negli anni successivi. Si realizzerà grazie alla sinergia virtuosa tra istituzioni locali, strutture sindacali e movimenti. Nel 1970, viene costituito il Servizio provinciale di Medicina del Lavoro; si avvia il processo di deistituzionalizzazione dei bambini portatori di handicap che porterà alla chiusura delle istituzioni speciali pubbliche sul territorio provinciale (tra le quali il De Sanctis, la Scuola Sordastri, la Scuola caratteriale di Gaida, l’Istituto ciechi “Garibaldi” e altre); due anni dopo, nel 1972, viene creato il Dipartimento di Igiene Ambientale e nel 1974 è la volta dei Consorzi Socio Sanitari…

«Sono gli anni Settanta del Novecento, bellezza», potremmo rispondere a chi leggesse oggi, meravigliato, l’elenco delle istituzione di welfare sociale reggiano, da cui, però, abbiamo volutamente lasciato fuori l’istituzione e l’organizzazione del Servizio Psichiatrico Provinciale e la relativa costituzione dei Centri di Igiene Mentale zonali, avviato nel 1970 e sviluppatosi negli anni successivi, perché è su di esso che dirigiamo il nostro immaginario occhio di bue.
Ce ne offre l’opportunità la casa editrice reggiana, Edizioni thedotcompany, che ha ripubblicato tre titoli dello psichiatra Giovanni Jervis “Contro il relativismo” (2022), “Individualismo, responsabilità e cooperazione” (2021) e “La conquista dell’identità” (2020), tutti a cura di Massimo Marraffa.

Jervis, nato a Firenze nel 1933 e deceduto a Roma nel 2009, dopo aver conseguita la libera docenza in psichiatria e aver collaborato con Franco Basaglia all’ospedale psichiatrico di Gorizia, nel 1969, viene chiamato della Provincia di Reggio Emilia a dirigere i servizi psichiatrici territoriali.

«Non accettiamo di considerare la malattia mentale come un compartimento stagno staccato dal resto dell’assistenza sanitaria – afferma Gianetto Patacini, vice presidente della Provincia e futuro segretario del Pci reggiano, nel corso di una seduta del Consiglio provinciale il cui ordine del giorno era l’approvazione del Bilancio di previsione per l’anno finanziario 1969 –. La separazione in due mondi, quello dei “normali” e quello degli “anormali”, nasce anche dal rifiuto di individuare nella vita della collettività in generale, e in particolare nel tipo di processo produttivo in cui viviamo, gli elementi di alienazione che portano l’uomo allo squilibrio psichico … L’esistenza di un ospedale psichiatrico delle dimensioni del San Lazzaro e il fatto che solo ora è possibile, con l’istituzione dei Centri di igiene mentale, avviare un’opera di assistenza su basi diverse pongono certamente il problema di un periodo di transizione che sarà indubbiamente lungo. Questo comporta anche una azione di maturazione e di discussione con l’opinione pubblica affinché i cittadini divengano partecipi di questa trasformazione. Questo comporta un rapporto nuovo con i medici, gli infermieri, il personale tutto oggi coinvolto a svolgere un ruolo avvilente di repressione e di custodia ma che in una pratica diversa vedrà il proprio lavoro assumere livelli più alti e dignitosi».

Un cammino difficile e complesso, ma queste parole riassumano perfettamente la realtà (o, forse meglio, lo spirito) dell’epoca e le motivazioni che spinsero la politica locale a chiamare Giovanni Jervis, il quale, insieme un gruppo di giovani medici e operatori, diede vita ad una organizzazione dei servizi territoriali alternativa all’istituzione manicomiale (i Centri di igiene mentale-Cim). E Reggio Emilia, nel marzo del 1970, ospita il convegno “Psichiatria e Enti Locali”, a cui partecipa lo psichiatra fiorentino. Jervis ricopre per otto anni, fino al 1977, la carica di direttore dei Servizi psichiatrici territoriali per diventare docente universitario alla Sapienza di Roma, attività che mantiene fino alla morte. Autore, fra le moltissime pubblicazione, del famoso “Manuale critico di psichiatria” (Milano 1975), nato da questa esperienza, presa a modello in Italia e all’estero, e più volte ristampato e tradotto in Francia, Germania e Spagna.

I volumi pubblicati dalle Edizioni thedotcompany, sono appunto l’occasione per (ri)scoprire, per chi non la conoscesse, una figura critica nel panorama culturale nazionale, e non solo, che «aveva avviato una riflessione sulle credenze sociali, le illusioni e i nessi di queste con l’agire collettivo. [In] “Individualismo e cooperazione”, intreccia psicologia individuale e costruzione della società, mettendo in evidenza le radici dell’azione politica. In “Contro il relativismo”, denunciava i rischi di un approccio relativista come ostacolo alla comprensione della realtà sociale» (Dizionario Biografico Treccani online).

In “La conquista dell’identità” Jervis sostiene che «l’identità personale è essenzialmente un itinerario di autorealizzazione, che vuol dire scoperta e messa a frutto del proprio talento, o anche delle disposizioni e delle esigenze più profonde di una determinata struttura psichica». Un tema di fondo «che percorre la cultura occidentale, un’idea legata all’etica protestante, a un’etica laica che punta sul rischiare sé stessi, sulla responsabilità individuale anche verso la collettività».

(Nella prima foto: Giovanni Jervis, il terzo da destra, al Convegno Psichiatria ed Enti locali, Reggio Emilia 24/25 marzo 1970).

Edizioni thedotcompany