Com’era il cielo sopra Auschwitz?

don Giuseppe Dossetti CeIS mic

Ognuno ha il suo cielo. Noi volgiamo lo sguardo in alto, per prevedere il clima della giornata: in questi giorni, abbiamo sperato di vedervi qualche nuvola, che preannunciasse il refrigerio della pioggia. In altri luoghi del mondo, il cielo era sporcato dalle scie degli aerei e dei missili. Il cielo è il nostro riferimento, ma anche il nostro limite: rimane sempre la domanda, che cosa ci sia oltre. C’è infatti un cielo dell’anima: le nostre speranze, i nostri timori, i valori in cui crediamo (come le stelle che orientano nel cammino); ma esso può essere oscurato dalle tante forme del male.

Come era il cielo dei prigionieri di Auschwitz? Come è il cielo di chi è vittima di abominevoli crudeltà subite per opera di altri esseri umani? E come diviene il cielo di chi visita le memorie, di chi esce da quei luoghi, chiedendosi come sia stato possibile?

C’è una via, per non soccombere: cercare di dimenticare, lasciarsi ingannare dalle fatue sirene che promettono felicità a buon mercato. Ma questo non è conforme alla dignità dell’uomo. Dobbiamo accettare che nel nostro cielo ci sia anche questo.

Ma è possibile, dopo aver incontrato tanto male, non vergognarsi di essere uomini?

Dobbiamo cercare, per il nostro cielo, altre luci, altri segni che ci orientino. Nei giorni scorsi, abbiamo ricordato la diabolica coincidenza della luce mortale di Hiroshima con la memoria liturgica della luce del Tabor, nella quale Gesù mostra una via diversa alla gloria, quella della mitezza e della consegna di sé alla volontà del Padre. Altri astri riflettono quella gloria. Uno, porta il nome di Massimiliano Kolbe. Egli era un sacerdote polacco, prigioniero a Auschwitz. Durante una decimazione, si offrì al posto di un compagno, padre di famiglia: venne rinchiuso nel “bunker della fame” e, dopo una settimana, ucciso con un’iniezione di acido fenico. Il capo del campo aveva accettato la proposta di padre Kolbe come l’occasione di una sfida, tra la trionfante forza della malvagità e l’inerme parola evangelica. Massimiliano Kolbe e tanti altri hanno resistito anche per noi e ci consegnano, non un’ideologia religiosa, ma una luce che non si spegne, perché testimoniata fino all’estremo.

Massimiliano Kolbe viene ucciso il 14 agosto, la vigilia della festa dell’Assunzione di Maria al cielo. Ora, forse, comprendiamo il significato di questa espressione. Maria è la discepola di suo Figlio, perché lo accompagna nel difficile cammino della fede, condividendone la croce. Ella è consapevole che il suo dolore, come quello del Figlio, sono le doglie del parto: nasce un mondo nuovo, perché il cielo si apre, la barriera cade: solo questa è la via perché Dio possa rientrare nella storia dell’uomo. La sfida di Auschwitz si ripete, ma i protagonisti sono ora il mondo intero, con la sua storia di sangue e dolore, e Dio: fino a che punto l’uomo vale per te, abitatore di un cielo troppo alto, troppo distante? E, come se non bastasse, non hai orrore di questa tua creatura degenerata, segnata dalla superbia, dall’avidità, dalla violenza omicida?

La croce di Gesù è la risposta di Dio alla sfida, l’unica risposta possibile, perché il ponte si riapra, perché l’uomo, ogni uomo, possa credere che il perdono non è una parola vuota e che valga la pena insistere, testardamente, nell’impegno per la solidarietà e la giustizia.

In ogni generazione, ci sono le vittime innocenti, “coloro che hanno lavato le loro vesti nel sangue dell’Agnello”, come sta scritto nel libro dell’Apocalisse. Essi hanno vinto anche per noi. Il loro dolore si unisce a quello di Maria, per generare un popolo nuovo. Quanti padri e madri abbiamo, se appena sfogliamo il libro della nostra vita e il libro della vita della Chiesa! Maria richiama i suoi figli, sollecita la loro conversione, incoraggia i loro passi esitanti. Ella orienta i nostri sguardi e i nostri desideri a qualcosa che è al di là della storia, ma che è entrato nella storia. Ella come dice la liturgia della Chiesa, “risplende sul nostro cammino, segno di consolazione e di sicura speranza”. Nell’ultimo giorno terreno, sarà accanto a noi, per varcare la porta.