Cna: un’impresa femminile su due rischia il ridimensionamento o la chiusura per la pandemia

Sebbene il 53% delle imprenditrici e lavoratrici autonome non si è fatta travolgere (nemmeno psicologicamente) dall’annus horribilis della pandemia, e quasi il 40% nel 2020 si è impegnato in maniera proattiva (ad esempio riorganizzando la propria attività) o ha continuato a lavorare registrando a fine anno risultati economici positivi, il 47% delle imprese femminili è comunque a rischio: se l’emergenza Covid-19 non sarà superata in breve tempo, infatti, quasi un’impresa su due potrebbe ridimensionare fortemente la propria attività (39,1%) o addirittura chiudere i battenti (8,3%).

È quanto emerge da un’indagine condotta dal centro studi della Cna (in collaborazione con Cna Impresa Donna) in occasione della Giornata internazionale della donna su un campione rappresentativo di circa 1.400 iscritte alla Confederazione nazionale dell’artigianato e della piccola e media impresa.

Il 2020 è stato un anno particolarmente duro per le donne lavoratrici, sia perché la crisi ha colpito in particolar modo le attività dove sono presenti in maggior misura le donne sia perché sono spesso queste ultime a pagare un welfare che penalizza proprio le figure femminili, costrette spesso a scegliere tra la professione e la famiglia. Degli oltre 440mila posti di lavoro persi l’anno scorso in Italia, secondo l’Istat, ben il 70% era occupato da donne.

L’asimmetria dell’impatto della crisi pandemica sul mercato del lavoro italiano è stata dovuta al fatto che i settori maggiormente bersagliati sono stati quelli appartenenti a filiere (moda, turismo, attività culturali, servizi alla persona) dove è maggiore la presenza femminile in termini di imprenditoria, occupazione e lavoro autonomo. Se la media dell’occupazione indipendente femminile tra industria e servizi è pari al 31,2%, infatti, tra le “altre attività di persone” (definizione in cui rientrano ad esempio anche i servizi alla persona) tocca il 57,9%, nell’abbigliamento il 52,8%, nella sanità e nell’assistenza sociale il 46,5%, nell’istruzione il 42,3%, nell’alloggio e ristorazione il 41,8%, nel tessile il 41%.

Anche l’occupazione indipendente femminile è uscita malconcia dalla crisi: se tra il 2009 e il 2019 il numero di donne che lavorano come indipendenti era rimasto pressoché costante, accusando un calo dello 0,4% a fronte del -8,8% maschile, nei primi nove mesi del 2020 le tendenze si sono invertite: a fronte del -3,9% femminile, la componente maschile del lavoro autonomo si è ridotta solo del 2,2%.

Anche a livello psicologico il primo anno di pandemia ha avuto un impatto fortemente negativo: il 60,5% delle intervistate lo ha vissuto con sentimenti di preoccupazione, mentre solo il 37,5% ha affermato di aver guardato al futuro con speranza e fiducia. Sono inoltre ben quattro intervistate su cinque a essere deluse dall’atteggiamento complessivo dell’opinione pubblica rispetto al proprio lavoro, ritenuto meno considerato rispetto a quello degli uomini; un atteggiamento, a loro parere, condiviso dalla politica, con due intervistate su tre che lamentano la scarsa o nulla considerazione percepita.

Le imprenditrici maggiormente critiche nei confronti della politica sono anche quelle per le quali le tante difficoltà riguardanti la gestione dell’impresa non sono state compensate da ristori su misura per le donne. Una chiave interpretativa che sembra trovare conferma considerando i giudizi per le norme inserite nella legge di bilancio 2021 a favore dell’imprenditoria femminile e della parità di genere: i contributi a fondo perduto, che sono la misura ritenuta più utile dalle intervistate (53%), trovano un maggior favore nell’area delle imprenditrici preoccupate (57,1%). Rispetto a queste ultime, le imprenditrici “ottimiste” esprimono invece un maggior favore per quelle misure in grado di favorire la gemmazione di nuove attività (finanziamenti agevolati e a tasso zero per avviare nuove imprese) e il consolidamento di quelle esistenti (ad esempio percorsi di assistenza tecnico-gestionale e investimenti nel capitale a beneficio delle imprese).

Per quanto riguarda la valutazione delle misure ritenute più idonee per favorire la conciliazione famiglia-lavoro delle imprenditrici e delle lavoratrici autonome, invece, quasi il 51,4% delle intervistate indica negli investimenti in servizi per l’infanzia (asili nido e scuole materne) e per l’assistenza agli anziani la misura su cui puntare principalmente. Le imprenditrici più “preoccupate” per il futuro, invece, hanno espresso un maggior favore per misure fruibili nell’immediato (assegno unico per figli a carico e voucher per acquistare servizi utili alla conciliazione famiglia-lavoro), ritenute più urgenti per compensare – almeno in parte – la riduzione del reddito derivante dalla crisi.