Sono state annullate dalla Cassazione per il mancato riconoscimento del legittimo impedimento dell’imputato a comparire in udienza per motivi di salute le condanne di primo e secondo grado nei confronti del vicepresidente del Senato Roberto Calderoli, accusato di diffamazione aggravata dall’odio razziale per aver definito “orango” l’ex ministra dell’Integrazione e politica modenese Cecile Kyenge il 13 luglio del 2013, durante la festa della Lega Nord a Treviglio.
Adesso il processo – nato su iniziativa della Procura di Bergamo dato che l’ex ministra non ha presentato querela nè chiesto risarcimenti – ripartirà da zero e gli atti sono stati trasmessi al Tribunale di Bergamo, ma la prescrizione è vicina tanto che la difesa di Calderoli ha chiesto alla Suprema Corte di dichiararla.
“Rivedere oggi quella condanna mi lascia un po’ di amaro in bocca, anche in termini politici: quattro anni e qualche mese fa avrei potuto essere individuato come presidente del Senato e i grillini misero il veto perché avevo questa condanna”. “La cosa mi ha ferito molto – aggiunge Calderoli – anche perché mi ero scusato, perché ero stato il primo a riconoscere che era stato un brutto episodio. L’ho vissuta male sia in termini di condanna e anche in termini politici, quindi vedere oggi quella condanna un po’ di amaro in bocca lo lascia”.
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