Che grande povertà vive oggi la Chiesa

don Giuseppe Dossetti Centro Giovanni XXIII Reggio Emilia

Tra le pagine giustamente famose del vangelo, troviamo le “beatitudini” (Matteo 5,1-12). Esse esprimono le preferenze e le decisioni del Dio di Gesù. Dio consegna il suo “Regno”, il suo amore, la sua tenerezza, ai poveri “nello spirito”, cioè a tutti coloro che hanno un dolore nel cuore; per esempio, a coloro che piangono, ai miti, che sono tali per forza, perché non hanno i mezzi per difendere i propri diritti; infine, persino ai peccatori, che vorrebbero essere giusti e non ci riescono. Può sembrare strano che Dio abbia delle preferenze, ma san Paolo conferma: Dio ha scelto coloro che il mondo disprezza, i deboli, coloro che “non sono nulla” (1Cor 1,26ss.). Di conseguenza, egli ama chi fa le sue stesse scelte: i misericordiosi, i puri di cuore, gli operatori di pace, e soprattutto coloro che vengono perseguitati perché scelgono la giustizia.

Tuttavia, il fascino di queste parole non impedisce di domandare, che senso, che efficacia abbiano nella storia. E’ noto, che molti ebrei sopravvissuti alla Shoah persero la fede: come poteva il Dio dell’alleanza abbandonare così il suo popolo, permettere tanta atrocità?

La nostra coscienza è tormentata. Che cosa può voler dire, “beati gli operatori di pace”, di fronte al conflitto ucraino? Si può impedire a questo popolo di difendersi dall’aggressione? Gli si possono negare gli strumenti per resistere all’ingiustizia? Ma, d’altra parte, non contribuiamo così anche noi a una frana inarrestabile verso ulteriori tragedie? Rimane poi, piantato nella nostra carne, lo scandalo di una lotta mortale tra cristiani: dal 1914 in poi, ci si chiede che valore, che efficacia, che senso abbia una fede che non riesce a impedire tali tragedie e che magari le alimenta, sacralizzando la guerra. Satana sembra essere entrato nel santuario.

Che grande povertà vive oggi la Chiesa! Più o meno esplicitamente il suo messaggio viene dichiarato irrilevante.

Eppure, c’è chi ha resistito: erano magari proprio quei piccoli, che il mondo disprezza, come il contadino austriaco Franz Jaegerstatter, che dichiarò immorale la guerra di Hitler e che per la sua obiezione di coscienza venne ghigliottinato. Uno degli atti più importanti di Benedetto XVI, un Papa tedesco, fu di dichiararlo beato.

Tre cose si possono e si debbono fare. Prima di tutto, dobbiamo testimoniare la verità. Per esempio, non possiamo continuare a dire che la pace ci sarà solo con la vittoria. La parola “pace”, senza correttivi e subordinate, non viene pronunciata. Bisogna prendere atto che le parole hanno peso ed efficacia: più si parla di vittoria, più sarà difficile tornare indietro. Le guerre passate lo testimoniano: è stata una vittoria quella celebrata nel 1918?

In secondo luogo, è necessaria la preghiera, in qualsiasi forma. La preghiera ci colloca tra quei poveri, ai quali Dio consegna il suo Regno. La preghiera ci mette di fronte allo specchio, ci impedisce di dar retta alle parole vuote, crea un legame di fraternità con il nemico. Certo, con il nemico! Consiglio di leggere la poesia di Giovanni Pascoli, I due fanciulli: che cosa si deve fare nella “truce ora dei lupi”, quando si ha” in cuore un’acre bramosia di sangue”? Anzitutto, prendere atto del mistero che ci circonda, della finitezza della nostra vita, del legame che inevitabilmente ci congiunge con ogni uomo.

Infine, porre in essere atti di fraternità. Questo vale anzitutto per i cristiani. Papa Francesco ce ne dà l’esempio, cercando ogni mezzo per ristabilire una coscienza unitaria, tra le varie confessioni. Quando Gesù proclama beati i piccoli e i poveri, ci invita a riconoscere la nostra povertà e a guardare l’altro uomo con occhi diversi.