Prese parte all’esecuzione a 15 anni: “Sono certo del perdono di don Pasquino Borghi”

don Pasquino Borghi foto

Nel 77esimo anniversario della morte di don Pasquino Borghi e di altri 8 antifascisti fucilati al Poligono di tiro di Reggio Emilia il 30 gennaio 1944, ecco qui sotto il testo dell’intervento di oggi nel ricordo del religioso alla Basilica della Ghiara di Sergio Paderni (che all’età di 15 anni prese parte all’esecuzione),  e dei familiari del parroco ucciso. Lo scritto è stato condiviso con i componenti del Gruppo di lavoro ‘Amici di don Pasquino Borghi’.

“Oggi sabato 30 gennaio ricorrono settantasette anni dall’uccisione di don Pasquino Borghi. Non è stato possibile dare molta visibilità a questo anniversario, data la situazione di incertezza, dovuta all’epidemia del virus Covid-19.

E’ stata tuttavia l’occasione per un ricordo più intimo e per una riflessione più intensa su un evento che ancora ci interroga e che, forse proprio per l’universalità della sofferenza che il mondo sta vivendo ormai da un anno, può aiutarci a trovare la nostra strada, che non può essere il ritorno a ciò che eravamo. Ce lo ha ricordato Papa Francesco: “La pandemia ci ha messo tutti in crisi. Ma ricordatevi: da una crisi non si può uscire uguali. O usciamo migliori, o usciamo peggiori “(26.08.2020).

Così fu anche allora. Il mondo usciva devastato dalla guerra: non solo eravamo di fronte alla distruzione delle nostre città, ma c’erano macerie spirituali che resero difficile la ricostruzione morale del nostro Paese. Vogliamo testimoniare che dal dolore, dalle crudeltà, dalle colpe, potè sorgere un’energia buona, che ha accompagnato noi e tante altre persone in un cammino di giustizia e di rinnovamento.

Il seme fu gettato da don Pasquino. Noi lo onoriamo come “martire della carità”: furono la carità evangelica, la pietà per le sofferenze del suo popolo, la speranza di un mondo più fraterno a guidare le sue scelte. Consegnandosi con mitezza alla morte, egli aveva presente la frase del Vangelo: “Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto”(Gv 12,24). Tutto sembrava smentire la sua fede, il male sembrava celebrare la sua vittoria: come Abramo, “sperò contro ogni speranza”.

Ma noi siamo qui, per attestare che quel seme è stato immediatamente fecondo e che, ancora oggi, suscita pensieri buoni e propositi generosi.

Il primo frutto fu il perdono che la sua mamma, Orsolina, accordò al giovane che aveva partecipato alla fucilazione di suo figlio. Ella scrisse: “Sull’esempio eroico dell’amato figlio Don Pasquino e in sua memoria, per la pacificazione degli animi da lui auspicata nel supremo istante del sacrificio della propria vita, perdono cristianamente all’esecutore materiale dell’iniqua sentenza”.

“Noi familiari di don Pasquino siamo convinti che queste parole non solo hanno tolto dal nostro animo ogni desiderio di vendetta, ma ci hanno orientato a seguire il suo esempio, nell’impegno per il bene comune”.

“Allo stesso modo io, Sergio, allora quindicenne, fui certo del perdono di don Pasquino subito dopo la mia partecipazione alla sua fucilazione. Mia madre lo comprese subito e lo scrisse alla mamma di don Pasquino, ringraziandola per il suo gesto: “Mio figlio non potrà mai dimenticare quello che ha visto in quella tragica mattina e quel ricordo sarà sempre di sprone a bene operare in ogni azione della sua vita”. Da quel momento, cercai di dare alla mia vita il senso di un servizio ai malati e ai bisognosi, ricordando e invocando ogni giorno, nelle mie preghiere, l’intercessione di quell’uomo, il cui sangue, come disse mons. Camisasca, <<è diventato luce>>.

Sottoscrivendo insieme questa memoria, vorremmo dare un messaggio di speranza a chi vive oggi con tanta difficoltà l’epidemia e le sue conseguenze, la paura, la povertà, la perdita di persone care.
Vogliamo ripetere, con l’apostolo Pietro: “La carità copre una moltitudine di peccati” (1Pt 4,8). La memoria di don Pasquino ci ha reso più buoni e anche, riteniamo, cittadini migliori”.

La commemorazione del prete ucciso. Il 30 gennaio 1944, a poco più di un mese dall’uccisione dei sette fratelli Cervi e di Quarto Camurri, nel Poligono di tiro di Reggio Emilia i fascisti repubblichini fucilarono don Pasquino Borghi e altri otto antifascisti: Ferruccio Battini, Romeo Benassi, Umberto Dodi, Dario Gaiti, Destino Giovannetti, Enrico Menozzi, Contardo Trentini ed Enrico Zambonini.

Il 77esimo anniversario dell’eccidio è stato ricordato sabato 30 gennaio, con un programma di iniziative promosse da Comune di Reggio Emilia, Provincia, associazioni partigiane Anpi, Alpi, Apc, Anppia, Comitato democratico costituzionale, Istituto “Alcide Cervi”, Istoreco e Ufficio scolastico di Reggio Emilia.

Le celebrazioni alle 10 al Poligono di tiro di via Paterlini 17, dove si omaggeranno i caduti nel luogo dell’eccidio, con gli interventi del sindaco di Reggio Emilia Luca Vecchi e del presidente Anpi Ermete Fiaccadori a nome delle Associazioni partigiane. A seguire, alle ore 11, nella basilica della Madonna della Ghiara il Vescovo monsignor Massimo Camisasca celebrerà una messa in suffragio dei caduti. Sarà presente il presidente del Consiglio comunale Matteo Iori.

Nel corso della giornata verrà deposta una corona presso la lapide in vicolo dei Servi, collocata sul retro dell’Ostello della Ghiara, nelle cui adiacenze sorgeva il luogo di detenzione fascista dove furono rinchiusi don Borghi e gli altri antifascisti prima dell’esecuzione.

A causa delle restrizioni anti Covid, la cerimonia al Poligono si è tenuta in assenza di pubblico ma sarà trasmessa in diretta sui canali youtube e facebook del Comune di Reggio Emilia.

Notizie su don Pasquino Borghi, nome di battaglia Albertario

Pasquino Borghi nasce a Bibbiano il 26 ottobre 1903 da una famiglia di contadini mezzadri.

Entra in seminario a 12 anni, dimostrando una spiccata tendenza alla vita ecclesiastica. Nel 1924 entra nell’Istituto Benedetto XII delle missioni africane in Verona. Nel 1930, ordinato sacerdote, parte per la missione comboniana di Torit, nel Sudan all’epoca anglo-egiziano. Nel 1937 viene fatto rientrare in Italia per motivi di salute e curato presso l’istituto missionario di Sulmona. Nel 1938 entra nella Certosa di Farneta (Lucca), ove emette i voti di certosino. Nel 1939 chiede la dispensa papale per ritornare alla vita sacerdotale “nel mondo”, anche per poter aiutare la madre rimasta vedova e in povertà.

Nominato cappellano nella chiesa di Canolo (Correggio), assume decisa posizione contro la guerra e la dittatura fascista. Dall’autunno 1943 è parroco a Coriano-Tapignola di Villa Minozzo.

Dopo l’8 settembre 1943, inizia un’intensa attività di aiuto ai soldati italiani sbandati, ai prigionieri alleati fuggiti dai campi di internamento e ai primi partigiani. Aderisce alla Resistenza con il nome di battaglia di Albertario.

Il 21 gennaio 1944 viene arrestato a Villa Minozzo da militi della Repubblica Sociale, mentre sta tenendo l’omelia della Messa. Un milite ha la sfrontatezza di schiaffeggiarlo, mentre una maestra in segno di spregio gli sputa sul viso. Inutili i tentativi per salvarlo: don Pasquino viene incarcerato a Scandiano e poi, nell’ultima notte, trasferito nel carcere dei Servi a Reggio Emilia. Subisce percosse, torture e umiliazioni, sopportate con rassegnazione cristiana e con una forza d’animo tale da infondere coraggio ai compagni di prigionia che insieme a lui subivano la medesima sorte. Il 30 gennaio 1944, per rappresaglia dopo l’uccisione di un milite fascista, senza alcun processo, viene fucilato insieme ad altri otto patrioti: Ferruccio Battini, Romeo Benassi, Umberto Dodi, Dario Gaiti, Destino Giovannetti, Enrico Menozzi, Contardo Trentini ed Enrico Zambonini. L’esecuzione ha luogo nello stesso Poligono di tiro dove un mese prima, il 28 dicembre 1943, erano stati fucilati i sette Fratelli Cervi e Quarto Camurri. Un distaccamento partigiano viene ben presto intitolato a Don Pasquino, una delle figure più importanti della Resistenza reggiana. Il 7 gennaio 1947, in occasione delle celebrazioni del 150° Anniversario della nascita del Primo Tricolore, il Capo dello Stato, Enrico De Nicola, consegna alla madre, Orsola Del Rio, la Medaglia d’oro al Valore militare alla memoria.