Cambiare il mondo in tempo di pandemia

Don Giuseppe Dossetti

Quando si parla di “Cristo Re”, come fa la Chiesa questa domenica, si prova un certo imbarazzo. Non dipende tanto dal fatto che i re ormai esistono solo nelle favole, ma perché la parola evoca vittoria, potenza, dominio: si auspica che il re, proprio perché così potente, faccia il bene dei suoi sudditi. Ora, nel mondo di oggi, questo dominio non appare: esistono altre potenze, spesso non amiche dell’uomo, che però sembrano non trovare ostacoli e il giudizio, se mai verrà, non sarà pronunziato dal Supremo Giudice, ma “dalla storia”, come si dice, la quale spesso si cava d’impiccio con un’assoluzione con formula dubitativa.

La Chiesa ha spesso proposto delle alternative: tutti i Papi, da Leone XIII in poi, hanno formulato una “dottrina sociale”. Essa, però, è stata accolta in generale con cortese indifferenza e, d’altra parte, gli uomini di Chiesa e le comunità cristiane spesso non hanno dato prova di grande coerenza.

Si potrebbe concludere che il Regno di Dio si stabilirà soltanto alla fine della storia, con il Giudizio Finale. In effetti, il Vangelo ci presenta questo giudizio, con relativi premio e condanna, dando anche i criteri che la Corte userà: “Avevo fame e mi avete dato da mangiare, ero straniero e mi avete ospitato, ero malato e mi avete curato” (Matteo cap. 25). Di fronte alla meraviglia dei giusti, il Giudice dirà: “Tutto quello che avete fatto al più piccolo dei miei fratelli, l’avete fatto a me”. Ci conforta l’esiguità della richiesta: dopotutto, qualche atto di carità non costa molto. Rimane però la domanda: dobbiamo allora abbandonare la storia alle forze oscure del male, rinunciando a rendere più umano il nostro tempo e limitandoci a salvare noi stessi e altri eventuali naufraghi?

Se però leggiamo con attenzione il testo del vangelo, ci rendiamo conto che la pretesa di Gesù è che il Regno di Dio sia già presente ed efficace nella storia. Ma come è possibile affermare questo, di fronte a tanto dolore, alle guerre, alle ingiustizie, alle malattie, alla morte?

Il punto decisivo, del discorso di Gesù, è questo: un gesto di bontà, piccolo come il bicchier d’acqua donato a un assetato, rende presente lui: “Sono io quel povero, quello straniero, quel malato. Quel piccolo gesto rende presente me e il mio regno. La storia cambia proprio grazie a quello che farete voi, nella vostra piccola vita quotidiana”.

Sembra una proposta ingenua, inadeguata ai grandi problemi del mondo. Ma Gesù è ben consapevole di quello che sta dicendo. Poco prima, aveva sorpreso i suoi discepoli a litigare sulle cariche da spartirsi nel nuovo regno del Messia, e aveva risposto così: “Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore,  e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Marco 10,42-45).

Il Regno di Dio deve stabilirsi anzitutto nel cuore dell’uomo. Solo così il mondo potrà cambiare. Ma non dobbiamo aspettarci “pace e sicurezza”, come pretendono le grandi potenze del mondo (1 Tess 5,3). La sfida è aperta e Gesù l’ha vissuta in prima persona: “Se sei il Figlio di Dio, scendi dalla croce e ti crederemo”.
Nella storia della Chiesa, incontriamo fratelli e sorelle che ci hanno creduto, che hanno amato senza apparenti ritorni, che hanno accettato il dolore e l’oscurità della prova.

Ho presente un quadro, nel quale il volto di Gesù è composto da tante piccole tessere come un puzzle, e ogni tessera è il volto di una persona. La fede, la carità, la speranza rendono presente il Cristo e il suo Regno. Esso subirà contraddizione, al punto che “per il dilagare dell’iniquità si raffredderà l’amore di molti” (Mt 24,12). Oggi, nel tempo della pandemia, siamo chiamati alla perseveranza e a raccogliere la sfida di Gesù, che il mondo cambia solo se custodiamo, nel nostro piccolo spazio, fede e amore.