Amore, Jung, Rilke e il buddhismo

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L’incontro con il Buddhismo era già avvenuto sotto diverse forme: libri, studi, alcuni ritiri, ma non mi era mai capitato un incontro con un Geshe.

Frequentavo il corso di meditazione condotto da Andrea Capellari, al centro Buddhista Taracittamani di Padova nel 2008, erano delle lezioni laiche su come si fa a meditare.
Capellari è uno dei migliori insegnanti di meditazione che abbiamo in Italia, aveva fra l’altro tradotto dal tibetano gli insegnamenti dei Maestri, compreso il Dalai Lama.
Vidi un giorno la tematica degli insegnamenti che sarebbero stati tenuti nel week end: la morte, una tematica che durante tutto il mio percorso di vita mi ha incuriosito.

La incontrai per la mia prima volta quando avevo sei anni. Era morto mio nonno Gjovanin e i miei genitori e parenti cercavano di non farmi vedere la salma. Io desideravo vederlo perché per me era ancora vivo. Entrai quindi furtivamente dove era adagiato, aveva un viso giallastro strano… mi spaventai. Poi ricordo che al funerale avevo una morosa, Mariangela, che pensavo avrei sposato da grande. Andai alla bara, presi una rosa rossa e gliela portai.

Sognai più volte le notti successive mio nonno, era vivo, lo incontravo in un’atmosfera calma, bluastra. C’era il corpo che se ne andava, ma dentro di me lui era vivo, come del resto mi accade di sentire per tutte le persone care della mia vita, che non ci sono più.
Infatti stiamo tutta la vita protesi fra un prima ed un poi, non riusciamo mai a permanere nel presente. Quando stiamo per morire ciò non può più accadere e quindi in quel momento possiamo e dobbiamo stare nel presente.

Andai a sentire gli incontri sulla morte del Geshe Ngawang Sangye. Subito mi accorsi che parlava poco di morte, parlava molto di più della vita, di come si nasce nella visione del mondo buddhista.

In effetti poco sappiamo sul aldilà, ciò che possiamo apprendere rispetto alla morte lo possiamo carpire vivendo.

In questo periodo di ritiro a causa del virus la mente assapora uno stop, una morte… Può essere un’ottima occasione per familiarizzare con la morte, per familiarizzare con il presente. Se permango nel qui e ora mi accorgo che la morte è alle mie spalle e l’esistenza si dilata, ciò che avrebbe chiamato Rilke con l’Aperto. Egli diceva che le creature e i bambini sono nell’Aperto, hanno la morte alle spalle, perché sono tutt’uno con tutto ciò che è.

Chiunque nella vita ha assaporato un attimo questa sensazione di connessione con tutto ciò che è, per esempio guardando un tramonto, facendo il bagno nel mare, guardando i propri figli, guardando una montagna, sentendo una musica, provando un’emozione di gioia fortissima, leggendo una frase di parole profonde.

Crescendo poi ci dimentichiamo di essere tutt’uno con tutto ciò che è e siamo quindi protesi continuamente fra un prima ed un dopo, ed è a questo punto che il dopo spaventa.

L’occidente ha continuamente la morte davanti, perché la nostra vita è sottesa fra un inizio ed una fine. Questa visione produce un attaccamento agli oggetti, alla materia, come se quest’ultima avesse una parvenza di eternità; da qui si genera anche la nostra società consumista. Il consumismo, la mercificazione sono dei prodotti atti a fuggire dalla paura della morte.

Alla fine di questi insegnamenti decisi di prendere il cosiddetto Rifugio nel Buddhismo. Ngawang Sangye mi diede un nome, Tenzin Ngawang, che significa Parola Potente Saggezza e con esso un braccialettino rosso di lana.

Il Rifugio nel Buddhismo è composto dal riconoscere l’importanza dei Tre Gioielli, che sono il Maestro, cioè il Buddha, il Sanga, cioè i fratelli che assieme a te sono alla ricerca, e il Dharma, gli insegnamenti.