Allo stadio senza partita

tifosi stadio

Rimbalza dai social una certa delusione: “Visto? Anche Draghi scrive dpcm per allungare i divieti da lockdown. Tanto valeva allora tenersi Conte”. Delusione partigiana, stante che nemmeno Draghi ha la bacchetta magica, men che meno che per sconfiggere la pandemia. Ma una minima ragione c’è. Ed è perfino comprensibile, se non giustificabile. In questo annus horribilis che abbiamo appena traguardato la razionalità sembra essersi consumata a vantaggio di reazioni emotive e talvolta inconsulte. Ne vediamo i segni in aumento.

Sabato scorso, ultimo giorno in Emilia prima del rientro in zona arancione, tutti o quasi sono usciti per godersi le residue ore di più o meno estesa libertà. Ristoranti presi d’assalto, negozi, passeggiate, vasche in centro storico o gita fuori città: anche se non c’è niente di specifico da fare, e anzi quando sarebbe più sconsigliato uscire di casa stante gli affollamenti, tutti o quasi tendiamo a uscire fuori, all’aperto, alla ricerca di svago, di incontri, di immagini nuove per nutrire il nostro Sé.

Perché lo facciamo? Perché siamo esseri sociali. Salvo qualche illuminato eremita, o monaca di clausura, agli umani è impossibile sopravvivere in completa solitudine. Abbiamo bisogno di comunicare e da remoto non ci basta. Desideriamo l’incontro, il contatto, l’emozione condivisa, il pianto di gioia, il bacio e l’abbraccio.

Ieri a Milano migliaia di tifosi di Inter e Milan si sono riversati a San Siro dove si giocava il derby, pure con lo stadio chiuso. Non c’erano controlli e in compenso c’erano vasti assembramenti. Sembra una follia, vero? Eppure migliaia di persone sono uscite di casa anche in assenza dello spettacolo calcistico. Volevano uscire con le bandiere e i fumogeni e lo hanno fatto anche se non c’era niente da vedere. Nell’essere tifosi si avverte il senso di un’appartenenza che ha poco a che fare con il consumo di uno show sportivo. È anche di quell’appartenenza che molti avvertono la mancanza.

La cessione di razionalità alimentata dal Covid è un altro dei lati che accompagnano gli effetti della pandemia. Stiamo accettando di avere guadagnato il diritto a sentirci defraudati di un pezzo del bene più alto, ossia la vita. I tempi si sono allungati oltre le nostre peggiori previsioni di un anno fa. Si diceva finirà con l’estate o al più tardi in autunno, e già la prospettiva appariva inaccettabile. Ora va un po’ meglio con l’arrivo dei primi vaccini ma non siamo affatto usciti dall’emergenza.

Chi si aspettava con Draghi la scomparsa di ogni divieto ne aveva ceduta troppa, di razionalità. Dal nuovo premier ci aspettiamo migliori risultati sul piano economico. Nella gestione dell’emergenza sarebbe già molto intensificare l’arrivo dei vaccini in tempi rapidi: questo sì sarebbe un mezzo miracolo. Per quanto riguarda il presente, serve ancora molta disciplina. Gli italiani non vi eccellono ma non ci sono altre strade.