Milano, autunno 1969. “I compagni del Comitato unitario di base di fabbrica sapevano che quella mattina sarei andato ai cancelli, molti di loro avevano partecipato alla fondazione del collettivo poche settimane prima, quando decidemmo la linea politica. Anche i compagni del Pci lo sapevano. In quei mesi ancora ci lasciavano fare, secondo loro saremmo rientrati nei ranghi, fuori dal partito non esisteva nulla che durasse, dicevano spavaldi, ma lo dicevano da troppi anni. Infatti ci controllavano, i loro uomini avevano occhi dappertutto”.
Il collettivo era il Collettivo politico metropolitano (Cpm), fondato a Milano nel settembre del 1969 dai futuri brigatisti Renato Curcio, Margherita Cagol e altri; i cancelli erano quelli della Sit-Siemens, dove le Brigate Rosse fecero il “salto di qualità”, bruciando il 17 settembre 1970 l’auto di Giuseppe Leoni, dirigente della Sit-Siemens e capo del personale. L’attentato è firmato, per la prima volta, con la stella a cinque punte, il simbolo delle Brigate Rosse.
Di quel commando incendiario faceva parte, insieme al reggiano Alberto Franceschini e altri, anche Alberto Boscolo, ventenne, protagonista e voce narrante del romanzo di Bertante. Un racconto capace di restituirci il clima politico-sociale di una Milano e di un’Italia ormai scomparse.
E con un merito in più, frutto di un attento lavoro di ricerca di archeologia urbana. Seguendo il giovane terrorista/rivoluzionario nei suoi spostamenti tra la fine del 1969 e la primavera del 1972, come un “palinsesto” urbano riemerge la Milano della classe operaia, del proletariato, delle case a ringhiera, della Ghisolfa, del Giambellino, dell’Ortica, del Lorenteggio, di Quarto Oggiaro, dei circoli giovanili e anarchici, delle comuni, della ligéra.
Il romanzo dello scrittore alessandrino ricostruisce attraverso Boscolo – un alias, come spiega in una nota finale l’autore – la genesi delle Br, la prima formazione terroristica di ispirazione comunista organizzata sul modello dei Gap partigiani, nate a Milano ma con solide basi nel reggiano.
Una decisione maturata dopo la bomba di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969 [di matrice nera], la morte in questura dell’anarchico Giuseppe Pinelli e la repressione poliziesca contro le formazioni extraparlamentari di sinistra. La scelta fu presa nell’incontro organizzato da Alberto Franceschini “con i compagni reggiani” a Costaferrata, piccolo paese nelle colline del reggiano, nell’agosto del 1970, in cui vennero ripresi e sviluppati temi posti in un altro convegno svoltosi, l’anno prima, a Chiavari.
“I lunghi mesi successivi [alla bomba alla Banca nazionale dell’agricoltura] erano trascorsi cercando di capire come reagire alla nuova situazione politica… Il Cpm non esisteva più, al suo posto era nata Sinistra Proletaria, una formazione più radicale e meno eterogenea della precedente”. A Costaferrata i futuri brigatisti decretarono la morte della rivoluzione come “esercizio retorico”, disseppellendo l’ascia di guerra che lascerà in Italia una lunga e tragica striscia di sangue.
Le molteplici azioni a cui Alberto partecipa, che gli costano la rottura con famiglia, amori e amicizie, oltre a quella già ricordata comprendono l’incendio ad alcuni tir della Pirelli, il sequestro lampo del dirigente Sit-Siemens Idalgo Macchiarini, avvenuto nel marzo 1972, immortalato dalla foto con la canna di una Luger piantata in faccia (“la vecchia pistola semiautomatica donataci dai partigiani emiliani”) e il cartello appeso al collo con la massima di Mao Zedong: “Mordi e fuggi. Niente resterà impunito. Colpirne uno per educarne cento. Tutto il potere al popolo. Brigate Rosse”. I rapporti con Gian Giacomo Feltrinelli (Osvaldo), finito dilaniato dalla stessa dinamite che stava collocando su un traliccio dell’Aem a Segrate. Azioni frammezzate da scontri con i fascisti e sostegno alle lotte nei quartieri popolari di Milano, perché come nelle fabbriche “la gente è come l’acqua e l’esercito come il pesce” (Mao).
Non sono le azioni terroristiche, però, che danno il segno a “Mordi e fuggi”, ma le riflessioni che man mano il protagonista interpone tra esse. Riflessioni che sono il risultato probabilmente di una memoria post, rielaborata nel corso del tempo. Infatti Alberto non verrà mai incriminato e si reinserirà come professionista nella società tanto odiata.
Se le sue convinzioni di adesione alla lotta armata erano “tetragone”, nonostante le critiche ricevute dalle sue compagne – prima Anita e poi Bianca – e da diversi compagni/amici, in particolare dal misterioso libraio Arturo, combattente in Spagna durante la guerra civile, l’episodio del mancato sequestro dell’esponente democristiano milanese Massimo de Carolis, dovuto al tradimento di un “compagno” (maggio 1972), sarà la causa del suo ripensamento sui suoi tre anni di vita da terrorista rosso.
Non saprei dire se “Mordi e fuggi” sia “il romanzo della BR”, come recita il titolo, però lo consiglio, perché è un’ottima introduzione di narrativa su sfondo storico a una stagione dell’Italia a cavallo tra i decenni Sessanta e Settanta del secolo scorso, consegnata ai libri di storia ma che in realtà continua ad affiorare ancora oggi nel dibattito politico e culturale.
Una volta terminato “Mordi e fuggi”, e se siete interessati alle vicende del terrorismo in Italia (compreso quello nero), l’agile libretto del giornalista Giovanni Bianconi “Terrorismo italiano” (Treccani, 2022) potrebbe essere il passo successivo per conoscere meglio quegli anni. E se vorrete accompagnare la lettura con pezzi musicali che sono stati la colonna sonora di quegli anni di “lotta”, degli anni Settanta, procuratevi la raccolta curata da Riccardo Bertocelli “Canzoni contro. Un altro mondo è possibile” (2003): ci sono Gaber, Area, Pietrangeli, Iannacci, Della Mea, Amodei, Stormy Six, Finardi, Bertelli, Lolli e altri.
Alessandro Bertante: “Mordi e fuggi. Il romanzo delle BR“, Baldini + Castoldi, 2022, pp. 208, 17 euro
Recensione di Glauco Bertani
Si ringrazia la Libreria del Teatro, via Crispi 6, Reggio Emilia.
Ultimi commenti
si certo, infatti adesso cella diventerà meta turistica di alto livello....
Ma a nessuno ha infastidito la sorridente e gioiosa presenza del Sindaco e dell'Assessore Bonvicini all'abbattimento di quel monumento dello spreco di risorse pubbliche e […]
peccato privarsi di cosi' tanta bellezza...lo Skyline di Cella non sara' mai piu' come prima.