Un generoso padrone e i suoi operai

Don Giuseppe Dossetti

Un generoso padrone prende a giornata degli operai. L’orario è lungo ma la paga è buona. Uscendo, il padrone trova altri disoccupati e li manda a lavorare. Anche a mezzogiorno, fa lo stesso. Addirittura, quando manca poco al tramonto, trova degli uomini che non sanno cosa portare a casa, alle loro famiglie. Manda nella vigna anche loro. Alla fine della giornata, dà la stessa paga a tutti, come se avessero fatto orario pieno. I primi brontolano: “Come mai hai trattato questi ultimi come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo?”. Il padrone replica: “Vi ho dato la paga che avevamo concordato. Se voglio dare anche agli ultimi quanto a voi, non posso forse fare delle mie cose quello che voglio? O siete invidiosi perché io sono buono?”.

E’ probabile che gli operai della prima ora siano andati via poco convinti; eppure, secondo Gesù, che racconta questa parabola, è proprio questo il modo di agire di Dio. I primi, sono gli uomini della legge, forse i farisei, che ragionano in termini di merito e ricompensa. Essi non possono ammettere la gratuità di Dio. Dopotutto, è stato Dio stesso a dare la Legge: l’osservanza dei precetti diviene il criterio per essere ammessi nella comunità dei salvati.

Ora, la parabola dice che il padrone “esce”. Papa Francesco sogna una “Chiesa in uscita”, ma il primo ad uscire è il Signore della Chiesa. Si tratta di un comportamento che ci mette in difficoltà. Un Dio che non si cura dei confini aumenta la nostra insicurezza. Dietro a certi atteggiamenti conservatori, c’è probabilmente la nostalgia per i bei tempi andati, della Chiesa societas perfecta. D’altra parte, un certo progressismo non parla al cuore dell’uomo, perché appare come uno sconto sulle esigenze del Regno.

Nella parabola, la cosa essenziale è, che il padrone chiama. Immaginiamo la gioia di chi ha vissuto una giornata di inutile attesa. Penso che anche oggi Dio chiami l’uomo. Dopotutto, anche la crisi del coronavirus può essere il luogo in cui risuona la chiamata. Qual è allora il compito della Chiesa? Non è certo quello di creare un banco d’ingresso, nel quale controllare credenziali e criteri di ammissione.

Se noi crediamo davvero che il Signore della Chiesa sia all’opera, allora il nostro problema è di riconoscere l’azione dello Spirito e di aiutare le persone a rendersi conto della chiamata. Essa si può esprimere nell’inquietudine e nella ricerca, nella nostalgia di un’esperienza interrotta, ma anche in una gioia inspiegabile che viene dal di dentro. Costoro si daranno una legge tanto più esigente, in quanto è la legge della riconoscenza e dell’amore.

Non mancano però le situazioni che vengono vissute come irreversibili, come le nuove unioni dopo il fallimento di un matrimonio valido o come le unioni omosessuali. Certamente, in questi casi, c’è un conflitto con quello che troviamo nel Nuovo Testamento e nella dottrina costante della Chiesa. Non credo che siamo autorizzati a cambiarli. D’altra parte, è certo che il Signore chiama anche queste persone. Se esse si rivolgono ai rappresentanti della Chiesa, non credo che lo facciano per ottenere una legittimazione, quanto piuttosto per essere aiutati a capire che cosa il Signore stia dicendo loro e per quale strada li inviti a impegnarsi.

Per la mia esperienza, la cosa più importante è tacere e ascoltare. Rendiamoci conto che chi chiede di parlare di cose così intime, senza ostentazioni e senza pretese, ha già fatto un grande cammino sulla via dell’umiltà; questo va detto agli operai della prima ora, che devono ricordarsi che anche la chiamata che loro hanno ricevuto è stata un dono. Piano piano, tanti nodi si sciolgono e vengono prese decisioni che vengono vissute come esigenze dettate dallo Spirito.

Per un prete, ma anche per una comunità, è importante ricordare l’esperienza di Pietro, descritta negli Atti degli Apostoli (cap. 10-11). Pietro viene cercato dagli emissari di un centurione romano, pagano. Questi contatti erano proibiti, perché i pagani erano considerati impuri, sia per la loro idolatria che per la licenziosità della loro vita. Ma il Signore dice a Pietro: “Ciò che Dio ha purificato, tu non chiamarlo profano”. Arrivato a casa del Centurione, dopo che ebbe parlato loro di Gesù, “lo Spirito Santo discese su di loro, come in principio era disceso su di noi”. Conclusione di Pietro: “Se Dio ha dato loro lo stesso dono che ha dato a noi, per avere creduto nel Signore Gesù Cristo, chi ero io per porre impedimento a Dio?”.