L’affanno di chi rincorre il tempo

don Giuseppe Dossetti Centro Giovanni XXIII Reggio Emilia

Centotrentesima lettera alla comunità al tempo del coronavirus e della guerra

Quando la strada che sale dal deserto arriva al Monte degli Ulivi e Gerusalemme appare in tutta la sua bellezza, una piccola cappella a forma di lacrima ricorda il pianto di Gesù sulla sua città: “Non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata” (Lc 19,44).

Dopo pochi anni, infatti, le legioni romane circonderanno la Città santa e la distruggeranno. Chiediamoci se noi riconosciamo il nostro tempo. Dovremmo anzitutto, però, chiederci se pensiamo che ci sia un tempo da riconoscere.

I ritmi così accelerati della vita, aggravati dall’estensione e dalla rapidità dell’informazione, generano spesso l’affanno di chi rincorre il tempo, con provvedimenti tampone, senza vere prospettive. Sembra non esserci spazio per una riflessione seria, per costruire l’evangelica casa sulla roccia.

Persino le decisioni più importanti, quelle da cui dipende la vita di tante persone o di intere nazioni, sembrano essere improvvisate. Mi chiedo quanto Putin abbia veramente riflettuto sulla guerra che stava per scatenare.

Il mio intento non è però quello di esprimere un giudizio pessimista sul nostro tempo. È vero: ci sarebbero esempi a non finire di decisioni prese senza misurarne le conseguenze. Basterebbe pensare a tutto quello che si sarebbe potuto fare per la pace con le centinaia di miliardi spesi per la guerra; oppure all’impotenza di fronte alle migrazioni, quando il rumore delle dichiarazioni roboanti copre l’assenza di idee. Questo però non ci porterebbe lontano.

Come trovare l’energia spirituale, necessaria per il cambiamento? C’è una parola nella quale si riassume tutto il messaggio cristiano; è la parola “oggi”. Essa risuona nella campagna di Betlemme: “Oggi è nato per voi un salvatore!”, dice l’angelo ai pastori (Lc 2,11). A Nazareth, Gesù si presenta come colui nel quale si adempiono le promesse dei profeti: “Oggi si è compiuta questa Scrittura che avete ascoltato” (Lc 4,22). Entrando nella casa di Zaccheo, il capomafia di Gerico, gli dice che proprio per lui egli è venuto: “Oggi devo fermarmi a casa tua” (Lc 19,5).

Infine proclama l’oggi più paradossale, ma in realtà il più necessario: al ladrone che umilmente lo invoca, egli, il crocifisso, lo sconfitto, l’immagine del fallimento più completo, dice: “Oggi sarai con me in Paradiso” (Lc 23,43). “L’oggi” di Dio e quello dell’uomo si incontrano su quella piccola collina alla porta di Gerusalemme.

Il Crocifisso si fa contemporaneo di ogni uomo, del povero e del ricco, dell’ammalato e di chi ha patito la perdita di una persona cara; ma anche dell’ingiusto e del violento, di chi cerca la giustizia e di chi la calpesta. Sul Calvario, le beatitudini trovano la loro piena verità: “Beati i poveri, coloro che piangono, coloro che hanno fame e sete della giustizia”, ma anche beati i peccatori, perché anche di essi è il Regno dei Cieli. Beati tutti, perché l’oggi di Dio viene offerto a tutti.

Mi rendo conto che questo discorso può sembrare follia. Persino i seguaci di Gesù hanno avuto delle difficoltà, a cominciare dai più prossimi, che infatti sono scappati o lo hanno rinnegato. Non così le donne: in effetti bisogna ragionare in altro modo, in modo affettivo.

Per questo consiglio un piccolo esercizio: guardare per cinque minuti un’immagine del Crocifisso. Il risultato non sarà banale.

L’oggi di Dio vuole rendere possibile l’oggi dell’uomo, anzi, lo dilata. La cosa bella del vangelo è che c’è sempre tempo; lo dimostra proprio la raccomandazione che il ladrone fa di sé. Egli sta morendo e non può certo promettere opere buone: eppure compie l’opera più importante, consegnandosi alla misericordia divina.

Gesù stesso aveva dilatato il tempo, quando aveva risposto a Pietro, che aveva posto al perdono il limite di sette volte: “Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette” (Mt 18,22). Il greco ha due parole per indicare il tempo. Il tempo puntuale, l’occasione da cogliere, è kairòs; il tempo, inteso come durata, è chrònos. La croce di Gesù è il kairòs, l’atto irreversibile di un rapporto eterno con ogni uomo; ma essa dilata il chrònos, fa della storia il luogo di un incontro sempre possibile. Così il vangelo può dire che il Regno di Dio è arrivato: può essere segno di contraddizione, ma esso è nelle nostre mani.