Due avvocati impegnati nel processo scaturito dall’inchiesta “Angeli e Demoni”, nata per far luce sulle presunte anomalie e i presunti illeciti negli affidamenti di minori nel sistema dei servizi sociali della Val d’Enza reggiana, sono indagati per calunnia nei confronti della pm di Reggio Valentina Salvi.
Si tratta di Rossella Ognibene e Oliviero Mazza, legali difensori di Federica Anghinolfi (ex responsabile dei servizi sociali della Val d’Enza, tra i principali imputati nel processo sul cosiddetto “caso Bibbiano”), ai quali la Procura di Ancona – competente per i fascicoli riguardanti magistrati e magistrate dell’Emilia-Romagna – ha notificato l’avviso di chiusura indagini.
La vicenda ha scatenato l’immediata reazione dell’Unione delle camere penali italiane, che ha espresso “grave preoccupazione per l’iniziativa giudiziaria della Procura della Repubblica di Reggio”.
A rendere ancora più grave la vicenda, per l’Ucpi, “è la circostanza che l’avviso di conclusione delle indagini nei confronti dei difensori, contenente l’addebito per calunnia, sia stato notificato in coincidenza con l’inizio delle arringhe difensive in dibattimento, malgrado i fatti in questione siano avvenuti a luglio dello scorso anno. Una tempistica tale da apparire oggettivamente idonea a generare un effetto dissuasivo, se non addirittura intimidatorio, rispetto all’esercizio della funzione difensiva. Attraverso tale improvvida iniziativa si è inciso sulla libertà e pienezza del mandato difensivo, baluardo irrinunciabile dello Stato di diritto, diritto inviolabile e principio supremo dell’ordinamento, come riconosciuto più volte dalla Corte costituzionale”.
L’Unione delle camere penali italiane, dunque, “stigmatizza con assoluta fermezza il fatto che una questione procedurale sollevata nella dialettica dell’aula, fondata su precise risultanze documentali e processuali, possa essere trasformata in oggetto di denuncia. Il solo fatto di porre una questione tecnico-processuale, elemento fisiologico del contraddittorio e della funzione difensiva, non può e non deve comportare minacce di esposti o procedimenti penali. Simili iniziative, peraltro non nuove anche in questo processo, sono del tutto incompatibili con l’esercizio libero e indipendente della professione forense in un ordinamento democratico e minano il diritto a un giusto processo e quindi l’essenza stessa dello Stato di diritto”.
La giunta dell’Unione delle camere penali italiane, con l’Osservatorio avvocati minacciati, ha richiamato con forza “l’attenzione di tutte e tutti sul grave vulnus che simili iniziative determinano sul piano sistemico, proprio a pochi giorni dalla firma da parte dell’Italia della nuova Convenzione del Consiglio d’Europa sulla protezione della professione legale. Tale strumento, che a differenza di analoghe dichiarazioni di principio adottate anche in seno alle Nazioni Unite è vincolante per gli Stati firmatari, prevede, all’articolo 6, che gli avvocati non possano subire conseguenze negative per le dichiarazioni rese in buona fede nell’esercizio della difesa; all’articolo 7 garantisce la libertà di espressione degli avvocati nell’ambito del procedimento; all’articolo 9 impone agli Stati l’adozione di misure protettive contro ogni forma di minaccia, intimidazione o indebita interferenza nell’esercizio della professione”.
Per questi motivi, la Giunta dell’Ucpi “chiama le istituzioni e le autorità giudiziarie a conformare ogni comportamento a tali principi, anche nell’ambito del fisiologico conflitto processuale, e al rispetto della libertà, dignità e inviolabilità della funzione difensiva, nella consapevolezza che attaccare la difesa significa indebolire la giustizia stessa e con essa lo Stato di diritto”.
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