Orgoglio, la sete di potere che genera violenza

don Giuseppe Dossetti Centro Giovanni XXIII Reggio Emilia

Richiamo le parole dell’apostolo Giacomo, che ho citato la scorsa settimana: “ Da dove vengono le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle vostre passioni che fanno guerra nelle vostre membra? Siete pieni di desideri e non riuscite a possedere; uccidete, siete invidiosi e non riuscite a ottenere; combattete e fate guerra!” (Gc 4,1s.). La passione più mortifera, cioè il desiderio smodato che genera violenza, è l’orgoglio, la sete di potere. In sé, il potere non è cosa cattiva. Il centurione romano, che umilmente chiede a Gesù la guarigione del suo servo, dice di sé: “Io sono un uomo sottoposto all’autorità altrui, ma ho sotto di me dei soldati e, se dico a uno, ‘vai!’, egli va” (Mt 8,9). In altre parole, ciascuno di noi ha un potere, piccolo o grande, che però significa responsabilità, e ne dobbiamo rendere conto.

Purtroppo, l’orgoglio trasforma la responsabilità in competizione. La domanda diventa allora: Chi è il più grande? (Mc 9,33-37). La risposta di Gesù è terribilmente scomoda, per i suoi discepoli di ogni tempo: “Se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti”. Più avanti, nell’ora della passione, quando la sua parola si fa carne e sangue, dice:”Chi è il più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure, io sto in mezzo a voi come colui che serve” (Lc 22,27).

La guerra ha messo in crisi tutte le gerarchie. Chi è il più grande, dopo Mariupol, Bakhmut, Kherson? Quando il conflitto finirà, andremo a visitare gli immensi cimiteri di guerra, come si va a Redipuglia, a Montecassino o in Normandia. La propaganda userà a piene mani la parola “eroe” e si proclameranno i nomi dei generali e dei governanti. Cominceremo forse a capire perché la forma che Dio ha preso, per entrare nella storia dell’uomo, è stata quella di un crocifisso.

La guerra impoverisce la Chiesa: anzitutto, perché questa è una guerra tra cristiani. Il mondo porrà la domanda, se quello che noi predichiamo ha un senso, di fronte a una contraddizione così palese. Non sarà sufficiente elencare le opere buone, i gesti di carità, tante volte veramente eroici. Può darsi che i numeri dei partecipanti ai sacramenti si riducano ancora. Una Chiesa più piccola e più povera, che però, proprio per questo, potrà conoscere la sua grandezza e la sua vocazione.

Recentemente, con molto coraggio, il nostro vescovo Giacomo ha paragonato la Chiesa a Israele, che fu scelto “non perché siete più numerosi di tutti gli altri popoli – siete infatti il più piccolo di tutti i popoli -, ma perché il Signore vi ama” (Dt 7,7-8). Questa parola “diventa un serio monito per Israele: in fondo, la piccolezza e l’insignificanza di Israele permettono a Dio di rivelarsi, l’elezione di Israele, il più piccolo, è in vista della rivelazione di un Altro e consente di comprendere che la grandezza e la sapienza di Israele sono la conseguenza di un dono, di un’alleanza, di una fedeltà che è quella di Dio”… “La logica, che fa crescere il regno di Dio, è chiara: … più tu diminuisci, più Dio si rivela; più ti fai grande, meno Dio appare”.

Certamente, non spetta a noi stabilire modi e misure di questa povertà: è compito del Fondatore, che conosce la nostra poca fede e non ci metterà alla prova più di quanto possiamo sopportare. Su una cosa, però, è voluto essere chiaro: egli spezza le gerarchie umane, anche quelle ecclesiastiche. C’erano, ai suoi tempi, ruoli e gerarchie religiosi. C’erano sacerdoti e profeti e giusti osservanti la legge. Certo, egli dice, “chi accoglie un profeta perché è un profeta, avrà la ricompensa del profeta e chi accoglie un giusto perché è un giusto, avrà la ricompensa del giusto”(Mt 10,41). Ma rimaniamo sempre in uno scambio di riconoscimenti e di onori. Meglio è accogliere chi non può ricambiare, perché allora sarà Dio stesso a farsi garante della ricompensa: “Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere di acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa”.