“Memè Scianca”, sul significato aleggia il mistero

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8.3

Le note che seguono non riveleranno il misterioso significato che si nasconde dietro il titolo “Memè Scianca”, lasciamo ai lettori il disvelamento dell’arcano come fosse una spinta gentile a leggere il libricino autobiografico di Roberto Calasso, uscito quasi contemporaneamente alla sua scomparsa, avvenuta il 28 luglio scorso. “Memè Scianca” racconta i suoi primi 13 anni di vita passata a Firenze dalla nascita (30 maggio 1941) al 1954, quando la famiglia si trasferirà a Roma.

«Una lastra impenetrabile e trasparente separa ciò che ho vissuto a Firenze sino alla fine del 1954 da tutto il resto, quel resto, che ha inizio con Roma, fa già parte di oggi».
Ma com’è nato il libro?
Calasso era sul lago Garda con i suoi due figli e stava leggendo “Ai miei figli”, ricordi di infanzia di Pavel Florenskij. Lo ascoltavano, forse «per compiacermi» scrive, ma «poi si sono messi a chiedere che cosa ricordavo io dei miei primissimi anni». Leggendo il libro del filosofo e teologo russo «mi è balenato che cosa avrei dovuto in ogni modo evitare: la progressione lineare. La memoria è fatta in prevalenza di buchi, come un territorio crivellato di crateri vulcanici ormai inattivi», non è un tracciato lineare e “Memè Scianca” è una serie di squarci temporali non consequenziali.

E con queste avvertenze per l’uso, iniziamo la lettura di un piccolo libro che si rivela, man mano che si sfogliano le pagine, di grande interesse e spessore. Non è un libro per tutti, è un testo che seleziona i propri lettori. Il fondatore e direttore editoriale della Adelphi era, in un certo senso, un predestinato eterodosso rispetto alle premesse. Nato in una famiglia di professori e intellettuali: il padre Francesco, professore universitario; la madre Melisenda, laureatasi con una tesi su Plutarco, era figlia di Ernesto Codignola, direttore editoriale della Nuova Italia, e sorella di Tristano. E cresciuto in un ambiente colto e raffinato della Firenze antifascista. Il padre era membro del Comitato di Liberazione Nazionale fiorentino che rischiò la fucilazione per rappresaglia in seguito all’uccisione del filosofo Giovanni Gentile, che aveva aderito alla Repubblica di Salò, da parte di un commando partigiano. Insieme al padre Francesco furono arrestati Ranuccio Bianchi Bandinelli, archeologo e storico dell’arte classica, Renato Biasutti, geografo. A salvarli fu il console tedesco in Italia Gerhard Wolff, che da tempo «era in contatto con Bianchi Bandinelli. E soprattutto ricordava che durante la visita di Hitler con Mussolini a Firenze, il 9 maggio 1938, Bianchi Bandinelli aveva avuto il compito di illustrare al Führer, in perfetto tedesco, i capolavori degli Uffizi». Questa è memoria familiare. La sua diretta, ad esempio, è quando racconta della scoperta del Gabinetto Vieusseux, una biblioteca ospitata a Palazzo Strozzi a Firenze, in cui «cercavo gli scrittori americani, come d’obbligo in quegli anni, ma avevo anche sviluppato una passione per i “gialli”»; oppure quando, contro la sua volontà, fu iscritto alla Scuola-Città Pestalozzi fondata dal nonno Ernesto, a guerra finita, «in un quartiere povero e malfamato del centro, Santa Croce».

«Non ricordo di aver mai parlato a lungo con il nonno Ernesto. Finché vivevamo a Firenze ero troppo piccolo. Poi, quando eravamo a Roma, i passaggi dei nonni non erano frequenti. E già seguivo altre vie nella testa». Che si possono scoprire leggendo un altro suo libro, uscito in contemporanea con “Memè Scianca”, “Bobi” – ossia la biografia di Roberto Bazlen ispiratore della casa editrice Adelphi – che consiglio di leggere per capire le altre vie che Calasso aveva in testa: «Quando Bazlen mi parlò per la prima volta di quella nuova casa editrice che sarebbe stata Adelphi – posso dire il giorno e il luogo, perché era il mio ventunesimo compleanno, maggio 1962 –, evidentemente accennò subito all’edizione critica di Nietzsche e alla futura collana dei Classici. E si rallegrava di entrambe. Ma ciò che più gli premeva erano gli altri libri che la nuova casa editrice avrebbe pubblicato: quelli che talvolta Bazlen aveva scoperto da anni e anni e non era mai riuscito a far passare presso i vari editori italiani con i quali aveva collaborato, da Bompiani fino a Einaudi. Di che cosa si trattava? A rigore, poteva trattarsi di qualsiasi cosa. Di un classico tibetano (Milarepa) o di un ignoto autore inglese di un solo libro (Christopher Burney) o dell’introduzione più popolare a quel nuovo ramo della scienza che era allora l’etologia (“L’anello di Re Salomone”) o di alcuni trattati sul teatro Nō, scritti fra il quattordicesimo e il quindicesimo secolo. Furono questi alcuni fra i primi libri da fare che Bazlen mi nominava. Che cosa li teneva insieme? Non era chiarissimo. Fu allora che Bazlen, per farsi intendere, si mise a parlare di “libri unici”. Che cos’è un libro unico? L’esempio più eloquente, ancora una volta, è il numero 1 della Biblioteca: “L’altra parte” di Alfred Kubin. Unico romanzo di un non-romanziere».

È la casa editrice Adelphi, il cui catalogo si discosta notevolmente dall’ambiente culturale in cui Calasso era cresciuto, e della quale diverrà direttore editoriale.

La narrazione di entrambi i libri è ricca e scritta in modo impeccabile, mai lezioso. La lettura è un piacere. Infatti, stiamo parlando di Roberto Calasso.

(Roberto Calasso, Memè Scianca, Adelphi, Milano 2021, pp. 96, 12,00 euro recensione di Glauco Bertani)

Si ringrazia la Libreria del Teatro, via Crispi 6, Reggio Emilia.

I nostri voti


Stile narrativo
9
Tematica
8
Potenzialità di mercato
8




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