«Le mie pecore ascoltano la mia voce»

Il Vangelo della domenica

Quarta Domenica di Pasqua, Anno C – 12 maggio 2019
Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 10,27-30)

In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».

 

L’immagine del buon pastore è una delle più familiari del vangelo: essa dice che non c’è uomo che non sia importante per Dio, che anzi proprio quello perduto viene cercato con maggiore cura e il ritrovarlo è fonte di gioia per il “cielo”.

Ma il vangelo di Giovanni aggiunge qualcosa: “Io do loro la vita eterna”, dice Gesù. Che cos’è questa vita eterna? È la vita oltre la morte? E come dovremmo immaginare questa eternità? Non potrebbe essere fonte di eterna noia?

In realtà, “vita eterna” non indica una durata, ma una qualità: si tratta della vita di Dio, la vita trinitaria, nella quale noi veniamo inseriti, divenendo anche noi partecipi dell’eterna relazione di amore tra il Padre e il Figlio.

Mi rendo conto che questa frase può sembrare “teologichese” ed essere ascoltata con educato disinteresse. Ma Gesù fonda la propria identità su questo rapporto intimo e unico con Dio, che egli chiama “Abbà”, il termine aramaico col quale il bimbo chiama suo padre. È in nome di questo rapporto che Gesù consegna la propria vita sulla croce: questo dovrebbe suscitare un certo ritegno nei fautori della lettura puramente simbolica delle sue parole.

Consideriamo anche un altro fatto: è su questo rapporto tra Dio e Gesù che si fonda la fede cristiana nella risurrezione: “Non era possibile che la morte tenesse Gesù in suo potere”, afferma Pietro nel discorso di Pentecoste (Atti 2,24). Proprio per la straordinaria intimità di questa relazione: Dio non può amare per un tempo limitato, ma per sempre. È in nome di questa relazione che Gesù, nell’ultima sera della sua vita, a Filippo che chiedeva di mostrargli il Padre risponde: “Chi ha visto me ha visto il Padre” (Gv 14,9).

Si ripropone però sempre la stessa domanda: che cosa possono dire queste frasi a noi, uomini moderni, abituati a considerare vero solo ciò che possiamo verificare con la nostra esperienza? Ebbene, Gesù parla proprio di un’esperienza: “Le mie pecore ascoltano la mia voce”.

Tocca dunque a noi chiederci che cosa ascoltiamo, eventualmente cercando di tacitare il rumore che ci assorda, anche il rumore delle nostre parole, persino delle nostre parole “religiose”. Infatti noi parliamo troppo di Dio come di un oggetto, e poco invece lo ascoltiamo come il Tu che rappresenta l’orizzonte della nostra vita, che ci viene incontro ogni giorno e che diventa, pian piano, un principio nuovo del pensare e dell’agire.

Ascoltiamo la voce del buon pastore. Questa dev’essere la nostra unica preoccupazione: fare ogni giorno ciò che egli ci suggerisce. Dio ci apre sempre una via, talvolta forse paradossale; ma l’alternativa è la rassegnazione o, peggio ancora, il tradimento della propria coscienza.

È bello allora pensare che siamo così potentemente custoditi. Una traduzione., forse migliore, sarebbe: “Colui che il Padre mi ha dato è più grande di tutto”. Sembra un paradosso, di fronte ai giganteschi sommovimenti che stiamo vivendo, che generano in noi la paura e il desiderio di ritirarci in qualche angolo, che riteniamo meglio difendibile.

Anche fenomeni come l’antipolitica, il cinismo di chi pensa a salvare i propri affari, dimenticando ogni dovere verso la comunità alla quale appartiene, mi sembrano esprimere questa visione senza speranza.

È importante invece che il cristiano viva la sua libertà, senza paura, anche in situazioni estreme. Ne abbiamo ormai tanti esempi, soprattutto dove maggiori sono la povertà e la persecuzione. Mi piace citare il testamento di Shabaz Bhatti, il ministro pakistano per le minoranze religiose, cristiano, ucciso il 3 marzo 2011: “Mi sono state proposte alte cariche al governo e mi è stato chiesto di abbandonare la mia battaglia, ma io ho sempre rifiutato, persino a rischio della mia stessa vita. La mia risposta è stata sempre la stessa: «No, io voglio servire Gesù da uomo comune».

Questa devozione mi rende felice. Non voglio popolarità, non voglio posizioni di potere. Voglio solo un posto ai piedi di Gesù. Voglio che la mia vita, il mio carattere, le mie azioni parlino per me e dicano che sto seguendo Gesù Cristo. Tale desiderio è così forte in me che mi considererei privilegiato qualora — in questo mio sforzo di aiutare i bisognosi, i poveri, i cristiani perseguitati del Pakistan — Gesù volesse accettare il sacrificio della mia vita.

Voglio vivere per Cristo e per Lui voglio morire. Non provo alcuna paura in questo paese. Molte volte gli estremisti hanno desiderato uccidermi, imprigionarmi; mi hanno minacciato, perseguitato e hanno terrorizzato la mia famiglia. Io dico che, finché avrò vita, fino al mio ultimo respiro, continuerò a servire Gesù e questa povera, sofferente umanità, i cristiani, i bisognosi, i poveri…

Voglio dirvi che trovo molta ispirazione nella Sacra Bibbia e nella vita di Gesù Cristo. Più leggo il Nuovo e il Vecchio Testamento, i versetti della Bibbia e la parola del Signore e più si rinsaldano la mia forza e la mia determinazione. Quando rifletto sul fatto che Gesù Cristo ha sacrificato tutto, che Dio ha mandato il Suo stesso Figlio per la nostra redenzione e la nostra salvezza, mi chiedo come possa io seguire il cammino del Calvario. Nostro Signore ha detto: «Vieni con me, prendi la tua croce e seguimi».

I passi che più amo della Bibbia recitano: «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi». Così, quando vedo gente povera e bisognosa, penso che sotto le loro sembianze sia Gesù a venirmi incontro. Per questo, cerco sempre d’essere d’aiuto, insieme ai miei colleghi, di portare assistenza ai bisognosi, agli affamati, agli assetati.

Credo che i bisognosi, i poveri, gli orfani qualunque sia la loro religione vadano considerati innanzitutto come esseri umani. Penso che quelle persone siano parte del mio corpo in Cristo, che siano la parte perseguitata e bisognosa del corpo di Cristo. Se noi portiamo a termine questa missione, allora ci saremo guadagnati un posto ai piedi di Gesù ed io potrò guardarLo senza provare vergogna”.

La santità è possibile anche per un uomo politico. In clima di elezioni, mi sembra opportuno ricordarlo. È bello pensare a una vita spesa nel servizio dei fratelli. Se ci esercitiamo nell’ascolto della voce del buon pastore, davvero nulla può spaventare e abbiamo la certezza della fecondità del nostro impegno.