La rivelazione dell’ex Br reggiano Azzolini: “C’ero anch’io quel giorno di 50 anni fa alla Cascina Spiotta”

cascina Spiotta 1975

L’ex brigatista reggiano Lauro Azzolini, 82 anni, è intervenuto a sorpresa durante il processo che lo vede imputato ad Alessandria – insieme a Renato Curcio e a Mario Moretti, capi storici dell’organizzazione criminale – per l’omicidio dell’appuntato dei carabinieri Giovanni D’Alfonso.

Il militare rimase ferito il 5 giugno del 1975 in uno scontro a fuoco con alcuni brigatisti che tenevano prigioniero nella cascina Spiotta d’Arzello, vicino ad Acqui Terme,  l’industriale Vittorio Vallarino Gancia, rapito il giorno prima a scopo di riscatto per finanziare la lotta armata; D’Alfonso morì in ospedale qualche giorno dopo.

“Io c’ero, quel giorno di 50 anni fa alla Cascina Spiotta”, ha rivelato Azzolini in aula: “Tutto precipitò in un minuto e morirono due persone che non avrebbero dovuto morire” (oltre al carabiniere, perse la vita anche la brigatista Mara Cagol, moglie di Curcio). Sarebbe Azzolini, dunque, per sua stessa ammissione, il militante finora ignoto delle Brigate rosse che dopo lo scontro a fuoco con i carabinieri riuscì a far perdere le proprie tracce.

Ecco il testo integrale della sua deposizione:



There are 2 comments

Partecipa anche tu
  1. Petrus

    Come mai questo Umaréll ex Brigatista Rosso ha atteso 50 anni prima di rilasciare questa dichiarazione?
    La Coscienza di Classe si mitiga con l’età?

    Nella deposizione, omette il “dettaglio” che i brigatisti (armati) stavano dando corso ad un sequestro di persona.
    Ci fu uno scontro a fuoco (con lanci di bombe a mano); il risultato fu un carabiniere ucciso dopo giorni di agonia in ospedale (appuntato Giovanni D’Alfonso) oltre alla brigatista Mara Cagol.
    Se i brigatisti, circondati, si fossero arresi senza sparare, questi due morti non ci sarebbero stati.

    Azzolini riuscì a scappare, la scena si svolgeva alle sue spalle: non può affermare, dopo 50 anni, che la Cagol fu uccisa a mani alzate; è una sua deduzione, senza riscontri.
    Bisogna trovarcisi, nel mezzo di uno scontro a fuoco, con un collega colpito a morte; questa tragedia si sarebbe potuta evitare (anche il sequestro di persona).

    Svuotarsi la coscienza, a 50 anni di distanza, lo trovo ipocrita: la “prolungata sofferenza” è quella inflitta alla famiglia D’Alfonso, da 50 anni a questa parte.


Post a new comment