La solidarietà tra persone non è scomparsa

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di Stefano Salsi

Da tempo l’Istat rimanda l’immagine di cittadini che si rapportano in modo radicalmente differente all’impegno volontariato. Negli ultimi anni prediligono un impegno individuale. Non tollerano regole, burocrazia, statuti.

Immaginiamo 2 stanze della stessa associazione di volontari che donano parte del loro tempo ai malati e ai loro familiari, offrendo accoglienza, accompagnamento, vicinanza ed ascolto.
In ognuna delle due stanze ci sono venti persone con le medesime caratteristiche, età genere, formazione, cultura, territorio di residenza.

Nella prima stanza c’è una riunione convocata per il 29 marzo 2024; nella seconda stanza c’è la stessa riunione convocata per il 29 marzo 2000.

Se ci accontentiamo di uno sguardo di superficie, rassicurante, crediamo di vedere due stanze identiche. Tuttavia l’impatto che i presenti nelle due stanze hanno sulla comunità sono radicalmente differenti.

I legami sociali di cui sono portatori le venti persone nella stanza 2024 sono enormemente più flebili rispetto alle stesse persone in riunione nella stanza 2000.

Se il presidente dell’associazione fosse rimasto lo stesso, ai suoi occhi i numeri delle due stanze potrebbero apparire rassicuranti, ma in realtà sono palesemente fuorvianti. Ciò che è profondamente differente è la capacità dei partecipanti alle due riunioni di incidere nella loro società di riferimento.

La stanza 2024 è immersa in mondo che produce molti individui adulti isolati, dispersi, depressi, talvolta disperati. Il Covid ha accentuato questa situazione svelando il tempo troppo veloce, esigente, iper performante, bulimico, in cui siamo immersi. Contemporaneamente la pandemia ha rimesso in gioco la questione della morte che era stata rimossa dal nostro immaginario a partire dal secondo dopoguerra.
Quello che stiamo vivendo è un tempo che torna a interrogarci sul significato del nostro essere al mondo, che è poi la questione esistenziale fondamentale che ci riguarda tutti come esseri umani.

Non tutti riescono a farci i conti in modo profondo con la capacità di tenere sul piano psicologico.

Da qui la deriva cinismo, disimpegno, isolamento. Fino ad arrivare alle forme più patologiche di alienazione, dipendenze di vario genere, fuga dalla realtà, ritiro sociale. Disagi e disturbi che colpiscono tutti noi, in particolare adolescenti e ragazzi.

In questo mondo riescono ad orientarsi meglio i giovani soprattutto gli under 30 che hanno un atteggiamento disincantato e realistico verso il mondo. Anche molti di loro vengono centrifugati verso forme di chiusura, ma quelli che riescono a surfare hanno visioni decisamente acute su come muoversi.

Si tratta di giovani minoranze che hanno idee sul tempo, sul futuro, sul mondo, molto diverse dalle nostre. Noi ‘anziani’ del villaggio non abbiamo principalmente il compito di capirli per accompagnarli. Abbiamo invece tutto l’interesse ad ascoltarli, perché da loro possiamo trarre inusuali e preziosi spunti su come mettere meglio a fuoco dove e come andare.

Questo vale anche per la politica. C’è un mondo che corre veloce, attraversato anche da dinamiche violente, di cui a fare le spese sono soprattutto i più fragili. Questa zona di vulnerabilità cresce in modo esponenziale: recentemente sia Eurostat che Eurispes hanno segnalato che il 60% degli italiani fatica ad arrivare a fine mese.

I giovani si stanno silenziosamente dimettendo da forme sociali e politiche che abbiamo abitato per un secolo. Le associazioni di volontariato come le conosciamo oggi sono una di queste forme.

Il volontariato, come la partecipazione politica, è fortunatamente più ampio delle sue forme. La solidarietà tra le persone non è scomparsa. Si esprime però in modalità nuove: col vicinato o con folate temporanee di fronte a un’emergenza (gli angeli del fango). Giudicare se ciò sia un bene o un male è superfluo. Molto più utile e produttivo è invece assumere questa situazione come un dato di fatto da cui sia possibile partire per costruire visoni e azioni più adeguate al tempo che abitiamo.

Ciò non significa seppellire tutto ciò che oggi esiste. Anzi il volontariato tradizionale, inclusa la militanza politica, che ancora c’è nel nostro Paese è un capitale sociale preziosissimo di cui va fatta adeguata manutenzione.

Il volontariato è ancora oggi una struttura portante del welfare di comunità e di vicinanza alle situazioni difficoltà. Ciò ancora rappresenta quella parte della nostra identità che può crescere e dispiegarsi solo in situazioni di gruppo. In presenza.

Collegare ciò che accade nelle due stanze è tuttavia decisivo.

Ci serve come Paese una massa critica di pratiche connesse e riflettute. La riflessione collettiva sulla prassi, che è stata esperienza comune diffusa fino a vent’anni fa, è diventata merce rara: o siamo soli davanti a un device o stiamo ascoltando un guru che parla, ma in e entrambi i casi siamo solo pubblico.

La connessione tra le due stanze, vecchie e nuove forme di volontariato e partecipazione, è oggi il compito più urgente che dovrebbe avere chi ha a cuore il benessere delle comunità.

Non credo sia utile radunare in una sala più grande i partecipanti alle due stanze. Trovo più adeguato e affascinate allestire veri e propri ‘laboratori di pratiche’ in cui le diverse esperienze possano parlarsi e apprendere reciprocamente. Ciò non principalmente per ricavarne spunti e intuizioni significative, ma soprattutto la consapevolezza di muoversi, con modalità diverse, all’interno della medesima scommessa di solidarietà.

Se il futuro ci intessa ancora, dobbiamo sapere che non sarà lui a trovarci. Possiamo essere solo noi a poterlo immaginare e costruire.



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