“Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino”

Terza Domenica del Tempo Ordinario, Anno B – 21 gennaio 2018 

Dal Vangelo secondo Marco (Mc 1,14-20).
 
 
Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».
Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini». E subito lasciarono le reti e lo seguirono. Andando un poco oltre, vide Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, mentre anch’essi nella barca riparavano le reti. E subito li chiamò. Ed essi lasciarono il loro padre Zebedèo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui.
 
E’ molto facile dare della figura di Gesù un’interpretazione romantica,  sottolineando il fascino della sua persona. Questo spiegherebbe la forza irresistibile della chiamata che egli rivolge ai discepoli di allora ed eventualmente di oggi. Gesù, dunque, farebbe parte di quel ristretto numero di uomini un po’ speciali, che fondano religioni, movimenti politici, oppure (Steve Jobs insegna), più modestamente, grandi aziende. Per evitare questo pericolo, dobbiamo sempre tener presente il contesto ebraico del ministero di Gesù. Niente è più alieno dell’ebraismo da questo “culto della personalità”: anche grandi figure, come Isaia o Geremia, e lo stesso Giovanni il Battista, scompaiono dietro la parola di cui sono portatori. Giovanni, per esempio, alla domanda, “Tu chi sei?”, ha risposto: “Io sono una voce”. L’esperienza tragica delle due rivolte, quella del 66 e quella del 135, che portarono alla distruzione del Tempio e alla dispersione d’Israele, ha confermato la diffidenza ebraica per i “Golem”, cioè per i salvatori che in qualche modo attirano su di sé aspettative che Israele deve rivolgere soltanto al Dio dell’Alleanza. Che cosa, allora, spinge persone normali, con la testa sulle spalle, come i soci della piccola cooperativa di pescatori di Cafarnao , a seguire il Maestro? La ragione può essere trovata soltanto nel messaggio di questo maestro e nella trasparenza della sua persona nei confronti di questo messaggio.
 
Dunque, è essenziale comprendere che cosa sia il “Regno di Dio”, nelle parole di Gesù e nel pensiero dei suoi ascoltatori. Si dice normalmente che gli ebrei aspettavano un Messia guerriero, che avrebbe liberato Israele dal dominio straniero, espulso dal popolo i malvagi, inaugurato un’era di giustizia e di pace. Probabilmente, non erano così ingenui. I profeti avevano insegnato loro che il male non è fuori dell’uomo, ma nel suo “cuore”. Andrebbe riletto il salmo del capitolo 63 di Isaia, che si chiude con l’invocazione: “Perché, Signore, ci lasci vagare lontano dalle tue vie e lasci indurire il nostro cuore, così che non ti tema? Ritorna per amore dei tuoi servi, per amore delle tribù, tua eredità … Se tu squarciassi i cieli e scendessi!”. L’osservanza della Legge non era l’ideale di questi uomini: essi avevano bisogno di consolazione, di sentir parlare di perdono e di grazia, di sentirsi amati da un Dio vicino, non segregato nei nembi del Sinai.
 
Il Vangelo di Marco parla spesso dell’autorità di Gesù, ma si preoccupa di sottolineare che non è come quella degli scribi e dei dottori della legge. E’ un’autorità che porta un “vangelo”, letteralmente, un lieto annunzio di libertà e di grazia. Ma è altrettanto importante che la persona di Gesù sia coerente con questo messaggio. Egli annuncia una parola che è di Dio, non sua. Egli ne è il mediatore proprio perché per primo vive questo rapporto di piena intimità, di totale consegna di sé, di trasparenza filiale con il Dio di Israele, che ha deciso di “compiere il tempo” e di farsi prossimo al suo popolo. Marco riassume nella potente sintesi di pochi versetti tutta la storia spirituale di Gesù: quando inizia il suo ministero, egli viene dal deserto, dove lo ha “gettato” lo Spirito di Dio e dove ha lottato con Satana. Tra le tre tentazioni, quella più sottile è quella del “pinnacolo del Tempio”: “Se sei Figlio di Dio, buttati giù. Egli infatti ha detto che darà ordine ai suoi angeli di sorreggerti, così che il tuo piede non inciampi”. 
 
Egli ha risposto: “Non tenterai il Signore Dio tuo”, cioè, non avrai pretese nei suoi confronti, neanche quella che ti salvi la vita.
Possiamo dunque parlare di una “fede” di Gesù? Certamente, se fede è l’atteggiamento di chi, come Abramo, si affida completamente a Dio, con la certezza che Egli compirà le sue promesse, nonostante ogni apparenza contraria. Ecco perché parliamo di una “trasparenza” della persona di Gesù: seguirlo, non vuol dire consegnarsi a un leader carismatico, ma riconoscere che in lui, proprio per questa piena obbedienza al Padre, Dio si fa accessibile e il suo Regno presente.
 
Questo è il significato dell’invito alla “conversione”. Non si tratta di un cambiamento morale e neppure principalmente dell’adesione a una religione. Il termine “convertirsi”, in italiano, significa voltarsi, riorientarsi; in greco, il termine è “metànoia”, che vuol dire “cambiar mente, modo di pensare”. Ma in ebraico il termine “teshuvah”, che deriva da “shuv”, vuol dire “ritorno”, ritorno a quel Dio innamorato dell’uomo, che cerca l’uomo, che in Gesù si fa prossimo all’uomo. 
Questo significa certamente voltarsi, tornare a mettere Dio davanti agli occhi e non dietro alle spalle, e comporterà anche un cambiamento di mentalità, un nuovo modo di pensare e di comportarsi. Fondamentalmente, dunque, la “teshuvah”, la conversione, è il ritorno al Padre, come nella parabola del figliol prodigo, ma con l’umiltà di chi riconosce di essersi perduto e quindi senza rivendicare diritti o superiorità sugli altri uomini.
 
In un tempo come il nostro, nel quale la parola”Dio” genera sospetto, quasi fosse fonte di violenza, è bello considerare la mitezza di Gesù e la sua interpretazione del “Regno di Dio”. Infatti, se esso viene interpretato come il campo dei giusti, allora si tireranno su dei muri, per tener lontani i peccatori. Se invece “Regno di Dio” vuol dire la sua presenza misericordiosa, le braccia aperte del padre, la casa dove si fa festa per i piccoli, dove c’è un posto per tutti, allora nessuno potrà avanzare diritti di primogenitura: non troverà dei nemici ma solo dei fratelli.