Il carattere spirituale della filosofia

filosofia

Perché una rubrica dal nome Philosophia? Il termine “filosofia” in occidente è abusato, basti pensare quanto viene utilizzato impropriamente nel linguaggio comune: “non è la mia filosofia”, “la filosofia dell’azienda”, “filosofia di vita”.

Perché impropriamente? Perché nell’inserirlo in diversi contesti non gli viene riconosciuta la sua origine. La sua origine è greca, deriva appunto dal termine “philosophia” lemma composto da “philein” e “sophia”. Philein, che è un verbo, un’azione, significa amare; sophia, invece, sapienza.

Compiere tale azione, amare la sapienza, produce saggezza, l’amore disgiunto dalla sapienza è cieco, la sapienza disgiunta dall’amore è sterile, nozionistica enciclopedica.

L’unione di amore e sapienza produce saggezza, e contatto con il proprio Daimon: per Socrate era il dio che ci abita, il motivo per cui stiamo vivendo, e il saper corrispondere a tale Dio produce eudaimonia, cioè felicità. Vedi come il termine felicità contiene il Dio che alloggia nel nostro condominio?

Emerge fin da subito il carattere spirituale che ha il termine filosofia: infatti nel momento in cui noi parliamo di filosofia dialoghiamo con il nostro Daimon.

Dialogare con il proprio Dio è un modo per portarsi all’origine, al motivo per cui siamo qui. È una domanda insolita nel nostro mondo, chiedersi: “Perché sono qui?”. Ora prova a fermarti un attimo e prova a far risuonare queste parole dentro di te.

Mi accorgo fin da subito che il motivo per cui sono qui è travestito da tante parole e atteggiamenti inutili, ciò che in diversi momenti della mia vita mi ha permesso di rimanere al mondo. Ciò che in momenti difficili mi ha permesso di rimanere al mondo è stato importante per me e mi sono attaccato, perché l’ho ritenuto importante, un po’ come l’orsacchiotto di quando eravamo piccoli: per un periodo della nostra vita è stato un compagno di avventure, poi è rimasto ai bordi del letto o su un comodino con due dita di polvere, ma sempre con noi.

Il motivo per cui siamo qui è spesso coperto da parole usate in passato e da polvere e non facciamo null’altro che rimescolare la superficie.

Nel momento in cui mi fermo e contatto il motivo per cui vale la pena vivere (Ikigai, direbbero i giapponesi, termine che è molto in voga in questo periodo storico), sono in contatto con il mio Daimon, con il dio che mi abita.

Come avviene ciò? Avviene nel momento in cui riesco ad andare sotto quello sciame di parole e polvere di cui sono ricoperto: se osservo ci sono degli attimi della mia vita in cui questo è avvenuto, per esempio quando è nata mia figlia. Vedere quegli occhi neri che ti fissano mi ha messo a presa diretta con la vita, ero in contatto con il mio Daimon; oppure tutte le volte che mi sono innamorato, oppure quando sono morte delle persone care. La sensazione è che ti senti lavato, pulito da ciò che non è importante ed essenziale.

Fare filosofia è questo, mettersi in contatto con se stessi, con il proprio Daimon e osservare ciò che appare con occhi nuovi; non ha nulla a che fare con un’insieme di regolette o pensieri sterili con i quali possono avere a che fare certi significati attribuiti in ambiti dove regna l’apparenza commerciale.

Se la filosofia viene indossata sul serio, è evidente che ha difficoltà a sopravvivere in questo mondo, dove regna l’estetica senza etica, ovvero il rimanere in superficie senza contattare il fondo.

La filosofia è un esercizio di onestà verso se stessi e verso gli altri, è un atteggiamento nei confronti di ciò che accade vivendo.




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