Dal lungomare di Rimini l’elettro-pop dei Valvolize per “Non spegnere la musica”

3. Valvolize. ph by Gianluca Nicoli b

Singolo d’esordio per il duo elettro-pop romagnolo Valvolize, che ha da poco pubblicato “Non spegnere la musica”. Già conosciuti nella riviera romagnola per la qualità dei loro live, i Valvolize sono Denny Di Ponio e Marcello Coccia Casadei.

I due giovani musicisti polistrumentisti, partiti dal funk e dall’R&B e poi approdati alla musica elettronica, hanno scelto di giocare in casa anche nel videoclip: è il lungomare di Rimini il protagonista indiscusso, che grazie alla regia di Konrad Lis si trasforma in una nuova Ocean Drive, dove ci si muove solo in skate e in pattini.

“Volevamo rimanere a Rimini perché è la città dove ci siamo conosciuti e dove entrambi tuttora viviamo, anche se io sono riminese per adozione”, ci racconta al telefono Denny Di Ponio. “Abbiamo deciso di giocare in casa perché siamo innamorati di questa città. Il lungomare è cambiato molto negli ultimi dieci anni e si è portato con sé una bella fetta della nostra esistenza: era doveroso dargli un ruolo protagonista nel videoclip d’esordio”.

I cambiamenti di un decennio si vanno a sommare all’impatto della riapertura, sebbene forse ancora parziale, di una città di villeggiatura che ha vissuto come tante in silenzio per un anno intero. È stata dura?
Durante il lockdown ci siamo sentiti spesso con tanti nostri colleghi e ci siamo inventati davvero di tutto per continuare a respirare musica ogni giorno, perché il poter condividere la musica con gli altri ci è mancato come l’ossigeno. Valvolize, di fatto, è nato proprio in questo frangente, perché avevamo l’esigenza di continuare a collaborare anche a distanza e quindi ci siamo reinventati, dando vita a moltissimi brani, che sono diventati il progetto Valvolize e a cui auguriamo lunga vita.

 

Immagino che “Non spegnere la musica” sia, infatti, solo il primo singolo di un progetto ben più ampio. I prossimi passi? Magari l’album?
Abbiamo scelto questo brano come singolo di lancio, perché già solo nel titolo è racchiuso il significato di questo preciso momento storico che abbiamo vissuto. A settembre dovrebbe uscire il secondo brano e, se tutto va bene, con l’anno nuovo il disco d’esordio.

Sempre nel videoclip, la musica scorre veloce accompagnando i movimenti dei protagonisti come se danzassero, mentre la campagna promozionale sui social si focalizza sull’impatto causato dall’emergenza sanitaria, che ha spento le insegne di tanti famosi club italiani che, per un motivo o l’altro, oggi sono ancora chiusi. Mentre Battisti direbbe “Che ne sai tu di un campo di grano”, Denny, a tal proposito, invece cosa ci dice?
Eh, che ci sono un sacco di realtà a cui la pandemia ha tagliato le gambe per sempre. Certi club non riapriranno più, non rivedranno mai più la luce, almeno in quella forma. Speriamo che qualcuno li faccia resuscitare dalle ceneri, ma per tanti è stata decretata la fine. Per noi appassionati di musica, poi, ogni club era un pezzetto di cuore: vuoi perché ci si è stati a suonare, vuoi perché ci si è andati a vedere un concerto pazzesco, o ancora perché si sia passata una serata indimenticabile, ogni locale ci riporta a precise emozioni e la chiusura definitiva è un tuffo al cuore. Così ci siamo informati, abbiamo raccolto materiale e abbiamo pensato di condividerlo con il nostro pubblico, trasferendo a tutti quelli che come noi hanno sentito venir meno un pezzetto del proprio vissuto cosa volesse dire spegnere la musica alle realtà dei club, fondamentali soprattutto per i nuovi emergenti.

 

In quanto linguaggio universale e senza tempo, la musica ci aiuta a scavare più a fondo nel nostro animo, a tirar fuori tutte quelle emozioni che ci affanniamo quotidianamente a nascondere e tu, anche per questo, sostieni che “la musica trascenda il normale modo di intendere le cose”; ma sempre tu dichiari anche che “la musica è sempre associata a qualcosa di bello”: ne sei proprio convinto? Che ci sia bisogno di sorridere è fuor di dubbio, ma cosa direbbero Morricone o Badalamenti, ma anche più prosaicamente i Nirvana o Eric Clapton, da cui ancora traiamo godimento e conforto, ma che di certo non hanno attinto al pozzo della felicità per comporre i loro capolavori?
Ah ah, sì, sono convinto che la musica sia associata molto spesso a momenti di sconforto e tristezza: se hai bisogno di conforto la musica c’è sempre e ti aiuta anche a sentirti meno solo. Si è più sensibili quando si è tristi. Ma la musica è anche cose belle, e qui ci riferiamo soprattutto alla musica che senti dentro, quando – come noi – fai parte di un club di sport magari estremi che ispirano libertà assoluta.

 

Siete cresciuti entrambi in famiglie dove la musica ha sempre avuto un valore, è sempre stata un perno essenziale. Cosa vi ha influenzato?
Marcello è più nostalgico. I suoi riferimenti sono molto rock, con vene trash, oserei dire; artisti ben confermati, dai Radiohead ai Nirvana; anni ’70 e ’80. Lui, e si sente anche nella sua voce, nasce da quel filone che poi si è sviluppato nell’underground londinese.

Io, invece, vengo da una famiglia di musicisti che hanno fatto musica per vivere e quindi sono nato con un po’ di tutto. Non ascoltavo musica commerciale, quella tipica da radio. Ho iniziato con il vecchio blues e il rock anni ’70, fino ad arrivare a una preparazione prettamente classica: mi sono diplomato al Conservatorio di Cesena, come hanno fatto il conservatorio i miei genitori, quindi il mio è un vero e proprio mash-up tra cultura classica, la musica sinfonica europea e il cordone rock’n’roll, dagli anni ’50 fino agli anni ’80. Ho sempre provato a suonare molti generi musicali e a non averne uno unico di riferimento, ma credo che questo si senta anche nei nostri brani, in cui la musica suonata “vera” è mescolata con sensatezza all’elettronica.

 

Questione di cultura musicale, di vedute non per forza di cose divergenti e, soprattutto, di un comune denominatore: “Non spegnere la musica”.