Ha una decisa impronta femminile lo sviluppo del sistema imprenditoriale che fa capo a Confcooperative Terre d’Emilia. Nelle 620 imprese associate all’organizzazione, infatti, in un anno l’occupazione maschile è aumentata dell’1%, mentre quella femminile è cresciuta dell’1,8%, portando così al 60,3% la quota dell’occupazione femminile sul totale dei 47.000 lavoratori e lavoratrici della centrale cooperativa.
I dati sono stati presentati durante il convegno di lunedì 19 maggio dal titolo “Parità di genere: motore di sviluppo economico”, organizzato a Reggio da Confcooperative Terre d’Emilia alla presenza dell’assessora alla Cura delle persone con delega alle pari opportunità del Comune di Reggio Annalisa Rabitti e della presidente della commissione Parità e cultura dell’Assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna Elena Carletti.
L’iniziativa è stata organizzata per approfondire gli effetti che una reale parità di genere potrebbe avere sulla crescita economica del sistema imprenditoriale e di conseguenza del Paese, ma anche per verificare (a pochi giorni dalla certificazione sulla parità di genere ottenuta dall’associazione e dal suo centro di servizi B.More) il posizionamento del sistema cooperativo in materia di gender equality.
Un’analisi “molto concreta”, per il presidente di Confcooperative Terre d’Emilia Matteo Caramaschi, “che ha come sfondo i dati che indicano una possibile crescita del Pil italiano dell’11% con un’effettiva parità di trattamento nelle imprese e una maggiore produttività (+25%) per le aziende più virtuose, oggi più premiate anche sui bandi pubblici, nelle gare d’appalto e sul versante fiscale”. Da qui, ha aggiunto Caramaschi, nasce dunque “una riflessione che diventa stimolo all’adozione di politiche imprenditoriali che accelerino e irrobustiscano i percorsi verso una parità di genere attorno alla quale abbiamo attivato, come sistema, specifici strumenti di consulenza e di servizio a sostegno dei percorsi che possono portare alla certificazione”.
La realtà (con i dati forniti da Pierpaolo Prandi, responsabile dell’area statistica-economica e ricerche di mercato di Confcooperative/Fondosviluppo), intanto, parla di un sistema cooperativo in cui la presenza femminile aumenta per tutte le qualifiche professionali, incluse quelle ancora generalmente segnate da una modestissima presenza di donne. Emblematico, a tal proposito, il caso della qualifica di dirigente, che in un anno ha visto aumentare la quota femminile dal 5 al 9,5%; in crescita (dal 38,3% al 39,7%) anche la quota di donne tra i “quadri” delle imprese, mentre rimane stabile (oltre il 73%) l’incidenza dell’occupazione femminile tra gli impiegati e aumenta leggermente (dal 45% al 45,4%) tra gli operai.
La cooperazione al femminile, in ogni caso, non cresce soltanto a livello occupazionale: la quota delle cooperative femminili, infatti, è salita al 36,7% del totale nel sistema Confcooperative, che si posiziona così ben quindici punti percentuali al di sopra della media delle imprese italiane. Contemporaneamente, le socie sono salite al 42% del totale e le cooperative presiedute da donne rappresentano il 27,2% (il 34,5% tra quelle giovanili), contro un valore che è meno della metà (il 13,1%) tra le società per azioni. Una spinta, quella che viene dalle donne, che è evidente anche sulla nascita di nuove imprese.
Buoni valori, dunque, per una cooperazione che presenta un numero crescente di imprese certificate sulla parità di genere, ma che deve anch’essa superare quel gap di genere che – seppur in misura meno evidente che in altre forme d’impresa – si sconta soprattutto sulle opportunità di carriera e sulle retribuzioni, con forme di integrazione salariale e benefit che riguardano ancora, in larga prevalenza, il genere maschile.
Il risultato è che, ad esempio, pur rappresentando il 9,5% tra i dirigenti, le donne scendono all’8,7% sul totale delle retribuzioni legate all’inquadramento, con un gap ancora più rilevante nella qualifiche impiegatizie: qui, infatti, la quota del lavoro femminile è al 73,7%, ma la percentuale delle retribuzioni scende al 69,7% del totale.
“Possiamo e dobbiamo fare di più”, ha sintetizzato Caramaschi. Le buone pratiche e gli esempi virtuosi anche in termini di welfare aziendale, d’altronde, non mancano, “e siamo convinti che la gender equality non sia solo questione di giustizia ed equità, ma davvero uno strumento essenziale per uno sviluppo sostenibile”.







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