Genta (Pd): Vicini, condanna Arci è debole

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20Sono passate ormai quasi tre settimane dallo scorso primo maggio, quando il circolo Arci Tunnel di Reggio – nell’ambito della Festa dell’Unità Comunista, organizzata nella giornata in cui si celebrava la festa dei lavoratori – ha ospitato una data del tour di P38 La Gang, gruppo musicale trap che si è presentato sul palco con alle spalle una bandiera delle Brigate Rosse (assieme a quelle della Corea del Nord e dell’Unione Sovietica) e cantando brani contenenti nei testi espliciti riferimenti al gruppo terroristico italiano e all’assassinio dello statista Aldo Moro.

Un’esibizione che è finita ben presto alla ribalta delle cronache locali e, in breve tempo, anche di quelle nazionali, scatenando numerose polemiche politiche, culturali e di opportunità. Ne abbiamo parlato con Paolo Genta, consigliere comunale del Partito Democratico a Reggio Emilia.

L’antefatto è ormai più che noto: qual è il suo giudizio su quello che è successo quella sera sul palco del Tunnel?

Sinteticamente, molto negativo. C’è soprattutto un tema di mancanza di rispetto. Il problema è che questi giovani non hanno consapevolezza di quale lunga striscia di sangue e dolore sia stato il periodo degli Anni di piombo, che invece la mia generazione ha vissuto. Io avevo 19 anni quando è stato rapito e ucciso Aldo Moro, stavo preparando l’esame di maturità. Dopo la Seconda guerra mondiale l’Italia non è mai stata così vicina alla guerra civile come in quel momento.

Quello che è successo al circolo Tunnel vuol dire non avere consapevolezza, vuol dire non aver fatto i conti con la storia. Mi prendo collettivamente la responsabilità – come generazione, non personalmente – di non essere stato in grado di trasferire con sufficiente efficacia la gravità di quegli accadimenti storici: ma il concerto del primo maggio non può essere derubricato a “un pugno nello stomaco”, come ho sentito dire.

Da giovane ho fatto il rockettaro, in quegli anni suonavo in un gruppo rock importante: la musica è sempre stata un veicolo anche di provocazione per i giovani. Ai miei tempi era la provocazione sulla libertà sessuale, contro la guerra, sulla libertà di genere, se vogliamo; penso a un grande idolo come David Bowie che utilizzava la musica – in quel caso sì – per dare “un pugno nello stomaco” ai costumi del tempo. Oggi invece manca il veicolo, c’è solo il pugno nello stomaco. Non mi sento nemmeno di classificarla come arte: qui siamo ben oltre la provocazione artistica, dire “è arte” non può essere un’assoluzione generalizzata per poter fare e dire qualsiasi cosa. Gli artisti che vogliono provocare accettino anche le conseguenze.

E di conseguenze, per il momento, ce ne sono già state. I quattro componenti del gruppo P38 La Gang sono stati identificati dalla Digos di Reggio e risultano indagati per istigazione a delinquere in concorso: è una vicenda che richiede davvero anche uno strascico giudiziario?

Non entro ovviamente nella discussione di carattere giudiziario, ho un grandissimo rispetto per il lavoro della magistratura; inoltre ho solo visto le foto e i video, ma non ero presente alla serata. È complesso stabilire le eventuali responsabilità penali, ma c’è chi è deputato a farlo. Trovo però sconcertante il fatto che siano state necessarie le indagini della Digos per identificare quattro persone che si sono esibite incappucciate in un locale diciamo “pubblico” (anche se è un circolo) classificandosi come musicisti; chi ha gestito questo evento non ha saputo dire chi fossero queste persone, e questo già è grave, oppure non ha voluto dirlo, e questo sarebbe ancora più grave.

Dovrebbe essere una cosa fatta alla luce del giorno: se si sostiene che quella del gruppo P38 è musica, bisognerebbe sapere chi sono i componenti. Invece sono incappucciati: ognuno tragga i suoi giudizi. L’indagine è un atto dovuto, per verificare se ci sia stata effettivamente un’istigazione a delinquere: ma su questo non saprei proprio esprimere un giudizio, e non voglio nemmeno farlo.

Limitiamoci nel giudizio a quello che è il campo sociale, politico e dell’opportunità. La mia generazione, purtroppo, è stata toccata molto da vicino da quei fatti, e quindi ha una memoria anche personale: il padre di mia moglie, ad esempio, era magistrato ed è stato minacciato più volte di morte dalle Brigate Rosse; mia moglie andava a scuola accompagnata dai carabinieri. Chi ha vissuto quegli anni non è assolutamente in condizione di accettare queste performance musicali come “una provocazione”.

Il presidente del Tunnel Marco Vicini ha sostanzialmente tirato dritto, difendendo la scelta di ospitare quel concerto. Ma il Tunnel è anche un circolo Arci, circostanza che pone qualche questione ulteriore.

Io speravo che il direttivo del circolo Tunnel prendesse le distanze dal suo presidente, invece l’ha difeso. Sono compatti nella convinzione (lecita, ci mancherebbe) di non aver fatto niente di male. Beh, sono lontano mille miglia da quella posizione. L’Arci provinciale è una realtà importantissima, soprattutto nei nostri territori, che ha svolto, svolge e svolgerà un’azione culturale fondamentale. Mi pare però che ci sia stata una presa di distanza debole, mi sarei aspettato una condanna “senza se e senza ma” da parte dell’Arci rispetto al comportamento della dirigenza del circolo Tunnel.

Credo anche che vada valutata la rimozione di quella dirigenza: questo proprio perché voglio bene all’Arci, vorrei vederla salvarsi da una deriva pericolosa. L’Arci provinciale, per salvaguardare la sua storia e il suo ruolo, deve essere più chiara di come è stata finora. Il Tunnel è stato e deve continuare a essere un luogo in cui si fa cultura, inclusione, che educa le generazioni alla non violenza.

Il suo partito, il Pd, ha condannato nettamente l’esibizione del gruppo e ha chiesto al circolo Tunnel di ospitare una riflessione pubblica sulle Brigate Rosse e sugli anni del terrorismo, come per una sorta di “riparazione”. È la strada giusta?

Non so se nello specifico quello sia il luogo e questo sia il momento opportuno. Nel 1978 ci sono stati più di tremila morti per terrorismo: le nuove generazioni sono fortunate da questo punto di vista, ma noi sapevamo che ogni giorno, guardando il telegiornale, ci sarebbe stata la notizia di qualcuno gambizzato o ucciso. Oggi quindi abbiamo l’obbligo morale di trasferire alle generazioni future la memoria di quel periodo: lo paragono, con le dovute proporzioni ovviamente, all’obbligo morale di portare avanti la memoria della Shoah. Sono fenomeni che rischiano di cadere nell’oblìo, di essere visti come una fiction: e allora è necessario mantenere viva la memoria di quello che è successo, affinché non accada mai più.

Se quindi si pensa che ospitare al Tunnel una serata di riflessione su quegli anni sia utile, perché no? Ma aggiunto: magari anche, per esempio, una mostra fotografica, cruda, sui morti ammazzati. Io ho negli occhi decine, anzi centinaia di immagini di vittime delle Brigate Rosse, immortalate nel sangue. Forse questi ragazzi della P38 non hanno mai visto davvero quell’orrore. Il fatto stesso che utilizzino l’immagine – terribile – della R4 rossa con il corpo di Moro crivellato di colpi, e di fianco poi ci aggiungano un disegnino tipo fumetto, è la rappresentazione plastica di come quell’episodio lì per loro è come se fosse una fiction.

Invece c’è dietro tanto dolore: e non parlo solo del dolore delle vittime e delle loro famiglie, ma anche di quello dei carnefici, che sono stati usati e non se ne sono resi conto. I ragazzi e le ragazze di oggi dovrebbero parlare con queste persone, per capire il tormento interiore che hanno vissuto partecipando (spesso giovanissimi) a quelle azioni criminali. Questi percorsi devono essere fatti: che poi sia proprio l’Arci Tunnel a ospitarli potrebbe essere un segnale utile, ma in ogni caso vanno fatti.

Nei giorni scorsi c’è stata anche qualche polemica a livello politico dopo che il consiglio comunale di Reggio ha negato l’urgenza di un ordine del giorno presentato dalla Lega. Italia Viva, invece, ha accusato il Pd e il sindaco Vecchi di scarso tempismo rispetto alla condanna del concerto. Il Pd ha intenzione di portare in qualche modo l’argomento in Sala del Tricolore o questa resterà una discussione “a distanza”, via social e sulla stampa?

Quello che è accaduto in consiglio comunale fa parte della solita polemica delle opposizioni. Sottolineo una cosa: l’ordine del giorno della Lega è stato bocciato per quanto riguarda l’urgenza, non nei contenuti. Quello che chiedeva l’odg era che il Comune si costituisse parte civile nell’eventuale processo. Non possiamo considerare urgente questa richiesta. Non abbiamo nessuna intenzione, come maggioranza, di non prendere posizione sulla questione, né singolarmente – cosa che è stata già fatta – né collettivamente.

La lamentela della Lega è stata: “Non ne avete nemmeno voluto discutere”. Ma se avessimo ammesso l’ordine del giorno come urgente, per poi bocciarlo nella discussione (perché l’impegno che chiedeva al Comune non era ammissibile, e non lo è tuttora), i consiglieri leghisti non avrebbero più potuto ripresentarlo; invece, dopo la bocciatura della questione di urgenza, la Lega lo ha già potuto ripresentare come mozione, e quindi ora andrà necessariamente in discussione.

Come maggioranza stiamo lavorando a una posizione comune, avremo pubblicamente anche una posizione collettiva su questo tema. Il Partito Democratico è molto compatto sulla condanna di quanto avvenuto: è chiaro che abbiamo sensibilità diverse, quindi anche sulle singole azioni da intraprendere ci possono essere delle sfumature, delle differenze, questo quando si è in tanti è inevitabile. Ma la maggioranza è compatta.

Ho apprezzato la condanna del concerto da parte di Italia Viva, ma mi dispiace che questo episodio poi sia stato sfruttato per fare nei confronti del Pd una polemica politica inutile, che non ha fondamento: il segretario provinciale Gazza e il sindaco Vecchi sono stati tempestivi nei limiti in cui potevano esserlo, trovo che polemizzare su una loro presunta “lentezza” nella condanna dell’episodio sia veramente sterile.