Caos trasporti. Viaggio (senza biglietto) nei carrozzoni pubblici che malgovernano il tpl

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C’era una volta Act, l’Azienda consorziale trasporti costituita nel 1975 dalla Provincia di Reggio Emilia e dai Comuni. I tram e le corriere (perché allora si chiamavano così, non bus o peggio ancora bàs pronunciati all’inglese: i primi erano arancioni e giravano in città pur senza rotaie, i secondi erano blu e ti portavano in provincia) arrivavano puntuali. Nessuno osava anche solo lontanamente pensare di salirci sopra senza pagare, e non solo perché c’era il bigliettaio a bordo. Che era una istituzione, al pari dell’autista: al quale potevi chiedere se quello era il tram giusto per Bainsizza senza che ti guardasse con la faccia un po’ stravolta e ti dicesse “sono di Caivano”.

C’era una volta, appunto. Ora ci sono i bus o peggio ancora i bàs di Seta (Società emiliana trasporti autofiloviari), che arrivano se e quando gli pare e sui quali i più salgono senza nemmeno lontanamente pensare di comprare il biglietto (che ora si chiama titolo di viaggio). Perché tanto il bigliettaio a bordo non c’è più e se per caso sale il controllore (che ora si chiama agente accertatore) multa gli studenti a cui i genitori hanno regolarmente pagato il (salato) abbonamento, ma magari l’hanno scordato a casa nella borsa da calcio usata la sera prima o non sono riusciti a convalidarlo perché costretti a viaggiare stipati come animali su un carro bestiame.

E tutti si lamentano. I cittadini, per i servizi scadenti che li costringono a utilizzare le auto ingolfando ancora di più il già congestionato traffico reggiano. I conducenti (e con loro i sindacati), malpagati, costretti a turni massacranti e troppo spesso maltrattati o addirittura menati da balordi. Si lamenta Seta, che per le ragioni di cui sopra ovviamente non riesce a trovare autisti ed ora si ritrova ad andare in… pellegrinaggio dal console delle Filippine (un po’ come con i cubani per la sanità che non trova personale per i pronto soccorso). E si lamenta pure l’Agenzia della mobilità, che multa Seta perché non trovando gli autisti non rispetta gli impegni e non garantisce le corse stabilite (che di conseguenza vengono ridotte).

Già, perché là dove un tempo c’era solo Act, dal 2001 c’è Agenzia per la mobilità (o meglio ci sono, visto che ogni provincia ha la sua), c’è Seta (in cui nel 2012 sono confluite oltre a Act Reggio anche Atcm e Tempi, le aziende di tpl di Modena e Piacenza), ma c’è pure Tper (Trasporto passeggeri Emilia-Romagna, nata anch’essa nel 2012 con un ruolo niente affatto marginale, seppur al 95% di proprietà della Regione Emilia-Romagna, del Comune e della Provincia, che ora si chiama Città metropolitana, di Bologna). E paradossalmente c’è ancora la stessa Act Reggio.

Una serie davvero infinita di carrozzoni pubblici – ognuno con il proprio consiglio d’amministrazione, i propri manager, il proprio sito (anche se spesso piuttosto tristi e antiquati: ma va bene così, meglio che i soldi si usino per migliorare i servizi) – spesso uniti da partecipazioni incrociate: un vero e proprio guazzabuglio nel quale risulta davvero difficile capire chi fa cosa, chi controlla chi e – in buona sostanza – chi è il responsabile di questa situazione che scontenta tutti, nasce tanti anni fa e ha tanti padrini politici a tutti i livelli. Da quello centrale, con i continui tagli di risorse da parte dello Stato e con il decreto Burlando che nel 1997 riformò il trasporto pubblico locale con l’obiettivo di “avviare la liberalizzazione del mercato attraverso l’introduzione di regole di concorrenzialità tese all’innalzamento della qualità del servizio e al contenimento dei costi”. A quelli locali, che forse facevano arrivare i tram puntuali, ma con costi eccessivi. A quello regionale, nel tempo sempre più intenzionato a ricoprire un ruolo da protagonista in questa riforma.

Noi, da oggi, in questo guazzabuglio proviamo ad addentrarci, per provare a capirne un po’ di più.

(1, continua) 



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