Borciani, il primo sindaco di Reggio

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La sindacatura dell’avvoccato Alberto Borciani segnò l’inizio di una lunga e feconda stagione di sindaci e amministratori socialisti del comune di Reggio Emilia. Con loro la città cambiò aspetto, si ammodernò, si arricchì di servizi sociali per i meno abbienti, allargò e laicizzò il sistema scolastico e le attività culturali, avviò importanti progetti di lavori pubblici, diminuì la disoccupazione. Si affermò la municipalizzazione delle aziende private di servizio pubblico e la prassi del buon governo amministrativo aperto al controllo e alla partecipazione dei cittadini.

Borciani, il primo sindaco socialista, si cimentò su questi temi, contribuendo non poco a segnare la strada ai suoi successori.
Nato a Budrio di Correggio il 21-10-1857 da Giuseppe (falegname) e da Giuseppina Lusetti (casalinga), dopo gli studi a Correggio, si laureò ancora ventenne a Modena in giurisprudenza.

Brillante giurista dai molti interessi culturali, fu autore di importanti pubblicazioni di carattere giuridico, approfondendo in particolare il rapporto tra diritto e strutture sociali. Nel 1890 coronò il suo cursus honorum universitario entrando come docente di procedura penale all’Università di Modena. Difese Prampolini nel 1894 quando questi fu denunciato a seguito delle leggi illiberali emanate da Crispi e sempre nel 1894 quando Prampolini rovesciò le urne in Parlamento in segno di protesta per la prassi anti statutaria di soffocare la libera espressione dei deputati.

Borciani, prima cattolico e poi radicale, aderì al socialismo, come lui stesso ebbe a dire “per impulso sentimentale contro l’ingiustizia”, prima ancora d’aver letto e studiato i testi marxisti. Consigliere comunale per una lista democratica fin dal 1882 e in seguito sempre riconfermato, con la vittoria dei socialisti nel 1899 venne eletto sindaco della città. Rappresentò dunque il primo sindaco socialista della storia di Reggio.

Pur restando in carica solamente dal 9-dicembre 1899 al 4-luglio 1900, riuscì a mantenere fede al suo programma elettorale, che vedeva al primo punto l’ammodernamento della “vecchia e inefficiente macchina amministrativa comunale”. Dimessosi perché eletto deputato per il collegio di Montecchio Emilia nel giugno 1900, rivesti la carica di pro-sindaco fino al 7 dicembre 1900, quando gli subentrò il pittore Gaetano Chierici.

L’attività amministrativa di Borciani si svolse secondo alcune linee guida proprie del socialismo riformista di scuola prampoliniana, che si possono così riassumere:

1) Non appesantire il già gravoso deficit comunale.

2) Sburocratizzazione dell’apparato amministrativo.

3) Riordinamento e ampliamento numerico delle scuole primarie (allora dipendevano dal comune).

4) Graduale municipalizzazione dei servi privati (farmacia, elettricità, acqua ecc.).

5) Miglioramento dell’igiene pubblica.

6) Favorire le opere pubbliche indispensabili allo sviluppo della città per ridurre così anche la disoccupazione.

7) Diffusione dell’istruzione e della cultura (università popolare).

8) Laicizzazione delle istituzioni.

9) Rafforzare l’autonomia politica e amministrativa comunale rispetto al governo centrale.

Borciani appartenne sempre all’ala moderata del riformismo reggiano, tanto da incorrere in iniziative molto criticate in seno al partito in almeno due circostanze. La prima volta fu quando in Consiglio comunale commemorò la morte del re Umberto I, avvenuta in seguito all’attentato dell’anarchico Gaetano Bresci.

La seconda quando prese ufficialmente parte all’intitolazione di una lapide al defunto. Nonostante lo sbigottimento e l’incredulità di molti compagni, gli organi dirigenti di partito non se la sentirono d’estrometterlo dal partito, limitandosi semplicemente ad ammonirlo.
Oltre che deputato, fino al 1902 rimase assessore comunale, poi semplice consigliere. Subito dopo venne eletto presidente del Consiglio provinciale.

La sua attività parlamentare non si limitò alle sole questioni giuridiche, ma spaziò in molte altre direzioni. Nel 1901, in particolare, fece molto parlare di sé quando con il deputato parmense Agostino Berenini presentò la prima proposta di legge sul divorzio, che fatalmente si scontrò con l’opposizione clericale e venne archiviata. Riconfermato sempre per il collegio di Montecchio Emilia nel 1904, non fu invece ripresentato nel 1909.

Coerente con le sue convinzioni riformiste e moderate, nel 1909 presentò una mozione congressuale contraria a qualsiasi connivenza con massimalisti e rivoluzionari, che venne però bocciata. Pur essendo rieletto consigliere comunale nel 1914, iniziò a diradare la sua attività politica dedicandosi principalmente alla professione e all’insegnamento universitario.

Sempre nel 1914 in una assemblea della Federazione provinciale del Psi illustrò le sue perplessità sul neutralismo proclamato dal partito, anche se pubblicamente continuò a sostenere la linea ufficiale uscita dall’assise socialista. Iniziò in quegli anni la sua involuzione politica, che lo portò progressivamente ad avvicinarsi alle posizioni più estreme della destra politica.

Ritiratosi ancora di più dalla scena politica, riemerse solo nel 1919 con una lettera inviata a Prampolini e alla sua sezione, pubblicata da La Giustizia il 24 settembre, annunciò la sua uscita dal Psi per costituire un Gruppo riformista reggiano associato al Psri di Bissolati.

In occasione delle elezioni politiche del 1921 aderì al Blocco nazionale che comprendeva anche candidati fascisti. A tal fine intervenne personalmente al teatro Municipale manifestando il consenso dei “vecchi e autentici riformisti” legati al suo gruppo.

Il Giornale di Reggio scrisse: “Il gruppo dei riformisti fino a ieri dormiente è sceso ora nella mischia per l’Italia… Borciani fa un’acuta, impressionante disanima del contegno dei socialisti dal Congresso del 1919 lumeggiando la colpa anche dei prampoliniani nelle continue invocazioni alla violenza e alla rivoluzione che poi non è venuta e mai verrà”. Borciani chiuse il suo intervento esclamando: “L’Italia soprattutto, l’Italia innanzitutto”.

Accusare Prampolini e compagni d’aver invocato la violenza e la rivoluzione fu certamente una argomentazione molto ardita e pretestuosa per accreditarsi come il solo e vero interprete del riformismo socialista. Le sue parole d’ordine risuonate più volte in teatro furono: riformismo e patriottismo.

Quella posizione fu comune a diversi socialisti della prima ora come lo scandianese Pietro Artioli, il dottor Petrazzani, Adelmo Borettini (vice sindaco di Reggio nel 1914), Il pittore e ex sindaco Gaetano Chierici e altri meno noti.

L’avvocato Borciani, pur non iscrivendosi mai al partito fascista, si prestò in seguito a difendere alcuni fascisti ritenuti responsabili di violenze e assassinii. Il caso più eclatante fu quello, del processo a carico di alcuni fascisti ritenuti colpevoli dell’uccisione nel 1924 dell’on Antonio Piccinini. Grazie alla sua abilità tutti gli imputati furono assolti.

Lontano e sfuocato era ormai il ricordo del suo discorso d’insediamento a sindaco di Reggio, quando affermò che la città “salutava il sole delle libertà politiche, delle libertà economiche, della giustizia e della pace”.

Colpito da una paralisi progressiva, morì il 17 maggio 1931.